Duro colpo per il
'made in Italy' agroalimentare. Entro fine ottobre, entreranno in vigore i
dazi addizionali previsti dal
Governo americano per molti prodotti di provenienza europea. Giustificata l'apprensione da parte delle associazioni degli imprenditori coinvolti per il futuro
dell'export italiano verso gli
Stati Uniti. Lo scorso
2 ottobre, infatti, il Tribunale della
World Trade Organization (Wto) ha stabilito che gli
Usa potranno imporre dazi sui prodotti europei per quasi
7,5 miliardi di dollari, come compensazione per gli aiuti illegali concessi
dall'Unione europea al consorzio aeronautico
Airbus. Tra i prodotti colpiti in base alla lista pubblicata
dall'Us Trade Representative (Ustr), ci sarebbero anche merci di Paesi che non fanno parte della
'cordata' di salvataggio di
Airbus. Della nostra produzione, secondo la
Coldiretti, risulteranno maggiormente penalizzati i prodotti dell'industria casearia, come il
Parmigiano Reggiano, il
Grana Padano e il
Pecorino, ma la lista non è definitiva e gli
Stati Uniti potrebbero aumentare le tariffe o cambiare i prodotti indicati in qualsiasi momento. I nuovi
'balzelli' americani contro
l'Europa potrebbero colpire, inoltre, anche altri settori, come per esempio quello della
moda. Ciò sta suscitando preoccupazione in molte aziende italiane, che se coinvolte subirebbero una drastica riduzione dell'export. Nel recente incontro a
Villa Madama tra il Segretario di Stato statunitense
Mike Pompeo e il nostro ministro degli Affari Esteri,
Luigi Di Maio, è stato evidenziato la presenza di un nostro partner commerciale scomodo per gli statunitensi. Per
Pompeo, "la Cina ha un approccio predatorio negli scambi commerciali" e rappresenta
"una minaccia comune". L'Italia è stato il primo Paese del
G7 che ha aderito al grande progetto infrastrutturale cinese della nuova
'Via della Seta'. La firma del
memorandum con la
Cina, avvenuta a fine marzo scorso in occasione della visita del presidente cinese,
Xi Jinping, in
Italia, è dunque oggetto di perplessità e di accesi dibattiti. E' il comparto delle
telecomunicazioni ad
alta tecnologia a destare maggiore preoccupazione: inizialmente rimasto fuori dall'accordo, sembrerebbe invece entrato a far parte del
Protocollo d'intesa. Recentemente, la
Farnesina ha acquisito dal dicastero dello
sviluppo economico le competenze sul
commercio estero: "Avendo incluso nel ministero degli Esteri anche le politiche commerciali", ha spiegato
Di Maio, "potremo essere ancora più efficienti a portare il 'Made in Italy' nel mondo". Il raggiungimento di accordi con il grande rivale geopolitico degli americani permetterà
all'Italia di agevolare e promuovere lo sviluppo economico del nostro Paese, oltre a migliorare sensibilmente la nostra posizione strategica per l trasporto delle merci. Non a caso, negli anni scorsi il nuovo porto di
Trieste - città destinata a tornare agli antici splendori
dell'Impero austro-ungarico - è stato completato in vista delle nuove esigenze commerciali. Secondo i dati
Eurostat del
2018, l'Italia si conferma il quarto fornitore della
Cina tra i Paesi europei, ma in settori strategici, come per esempio quello della
moda, siamo già da qualche anno addirittura il primo. Molta della produzione commerciale delle nostre aziende è da sempre destinata
all'export, ma la scelta da parte degli
Stati Uniti di
'includere' nella lista dei tributi anche molti prodotti considerati
'eccellenze' del
'made in Italy', non dev'essere essere interpretata non come un
avvertimento, bensì come un'ulteriore quanto involontaria spinta verso la ricerca di
nuovi sbocchi commerciali. In pratica,
l'Italia si ritrova costretta, a causa di una
penalizzazione ingiusta, a intensificare i suoi rapporti commerciali con
Pechino. "Vari settori delle nostre esportazioni sono stati risparmiati o colpiti in maniera inferiore rispetto ad altri partner europei", ha infatti puntalizzato il nostro ministro degli Esteri, in una lettera alle aziende italiane. Le tensioni commerciali nascono principalmente tra
Usa e
Cina popolare, ma la politica protezionistica messa in atto dal governo degli
Stati Uniti potrebbe creare non pochi problemi, in quanto rischierebbe di
'chiudere' il mercato americano, che dovrà basarsi maggiormente sulla propria
produzione interna, non sempre all'altezza degli standard qualitativi richiesti. Insomma, gli
Stati Uniti stanno facendo
tutto da soli. In un clima di tensione commerciale a livello globale è lecito chiedersi quali potrebbero essere le conseguenze di scelte poco ponderate. Reagire tempestivamente e muoversi di conseguenza sembra essere la posizione presa da
Di Maio, che ha ribadito:
"Come Governo, daremo tutto noi stessi per difendere le nostre eccellenze e metteremo tutte le nostre forze per riuscire ad aumentare la capacità di esportazione". Non si tratta di
'tradimenti' geostrategici o
militari, né sono in campo ipotesi di mutamenti delle alleanze come ai tempi della
diplomazia dei primi del novecento:
l'Italia ha semplicemente il problema di dover espandere le proprie politiche commerciali verso quei mercati che potrebbero soddisfare le esigenze
dell'export e, conseguentemente, contribuire ad aumentare sia la nostra
produttività, sia la stabilità della nostra economia. La
Cina, ma più in generale tutto
l'est asiatico, ha la capacità di assorbire gran parte della nostra produzione destinata
all'export e, attualmente, grazie anche alle politiche adottate dai grandi colossi commerciale asiatici, alcuni risultati positivi già raggiunti fanno ben sperare in un futuro migliore per le nostre aziende e la nostra economia. Non calcolare o sottostimare la
vastità dei
mercati asiatici e le loro possibilità di
assorbimento degli scambi ci appare
un'ingenuità: un errore madornale
d'improvvisazione, in tempi di
globalizzazione ormai diffusa.