Vittorio LussanaIn economia, l'accumulazione è un processo di accrescimento della capacità produttiva futura mediante l'accantonamento di una parte dei ricavi derivanti dalla produzione, o anche di parte della produzione medesima. Il concetto è conosciuto anche con la locuzione 'marxiana': "Accumulazione di capitale". Essa si realizza quando un sistema economico riesce ad 'ammortare' il capitale originario e ad accantonare risorse potenzialmente in grado di favorire nuovi investimenti, a prescindere da quelle destinate al consumo. Ecco per quale motivo un'impresa è tenuta a distinguere il bilancio aziendale dal portafoglio personale dei suoi soci, ai quali vanno destinati unicamente gli onorari stabiliti e prefissati tra i costi 'variabili'. In pratica, si entra nel campo dei cosiddetti 'extraprofitti', ai quali un'azienda non deve per forza rinunciare sulla base di considerazioni moralistiche. A patto che questi extraprofitti, o parte di essi, vengano indirizzati verso nuovi investimenti, in particolar modo in innovazione e ricerca. In sostanza, quando negli ambienti sindacali, ma più recentemente anche in quelli della destra sovranista, si parla di imprenditori che "non vogliono rinunciare ai loro extraprofitti" si sostiene una tesi astratta: il mondo dell'impresa non va posto sotto accusa poiché colpevole di accumulare risorse aggiuntive, bensì perché tali risorse non sempre vengono destinate agli investimenti, o all'incremento della produttività finalizzata a riorganizzare la produzione, rendendola più competitiva. Dunque, il concetto di accumulazione non ha connotazioni espressamente negative o dispregiative: si tratta di comprendere l'utilizzo che dev'essere fatto di queste potenzialità, per effettuare un ulteriore salto di qualità. E' chiaro che ciò può anche avere declinazioni distinte, rispetto a quella da cui tale concetto si è originato. Nell'ottica sociologica 'weberiana', per esempio, l'accumulazione finalizzata al miglioramento delle condizioni di lavoratori e consumatori assume addirittura una valenza 'spirituale'. In pratica, l'avanzamento 'espansivo' di un'attività è parte di un processo collettivo che, sommandosi agli altri, genera un miglioramento complessivo della società. Qui si rischia, tuttavia, di entrare in settori che non appartengono alla scienza economica, bensì a quella socioeconomica. Ovvero, in un territorio 'di mezzo' tra economia e sociologia che non va confuso né con la prima, né tantomeno con la seconda. Usi, costumi e rapporti individuali non appartengono al mondo dell'economia politica, poiché si rischierebbe di contrattualizzare anche i comportamenti, rendendoli 'meccanicisti', mentre invece essi si basano, o dovrebbero basarsi, su princìpi e valori sociologici tesi ad allontanare l'appiattimento sociale. Al contrario, il 'terreno di mezzo' che viene a crearsi, cioè quello socioeconomico, tratta semplicemente delle ricadute e degli impatti che i fenomeni di sviluppo hanno nel modificare o meno i processi di trasformazione della società, incidendo su di essa. E' questa la confusione che si tende a fare, ancora oggi, nelle società arretrate: un terreno di analisi socioeconomica non viene considerato e ci si appiattisce semplicemente sulla mercificazione degli atteggiamenti, dei comportamenti e dei rapporti sociali. Coloro che cadono in questo errore, sostanzialmente sono convinti che lo sviluppo basti a se stesso, senza che sia necessario accompagnarlo con altre forme di progresso culturale, scientifico, artistico, intellettuale o sociologico. Si tratta di un errore fondamentale, che rende il processo produttivo totalmente quantitativo, sganciandolo non soltanto dal raggiungimento di un'effettiva qualità della vita collettiva, ma anche da ogni finalità 'indiretta' di progresso pieno e completo della società. Per farla breve, si torna al liberismo selvaggio 'smithiano', che essendo stato concepito all'inizio del XIX secolo, rende il processo di accumulazione capitalistica un qualcosa di egoistico, basato sul mero possesso delle 'cose' e, persino, delle persone. Proprio l'analisi sociologica 'weberiana', pur mantenendosi in un terreno puramente capitalistico, assume un valore ben preciso anche dal punto di vista della critica 'marxista', poiché finalizza l'economia verso una crescita complessiva della società, benché in un'ottica diversa rispetto a quella utilizzata da Karl Marx. Questo concepire l'economia come scienza sociale fu un'intuizione ingegnosa del filosofo di Treviri, che tuttavia il maestro sviluppò secondo schematismi che, alla luce della Storia, si sono rivelati non del tutto corretti, o solamente in parte. Il capitalismo di Stato 'marxista' ripropone, cioè, una nuova degenerazione verso l'appiattimento della società sugli aspetti quantitativi e materialistici, incamerando in sé i medesimi difetti e le stesse distorsioni che il modello capitalistico generalmente tende a delineare, anche se rinchiusi in una gabbia centralista fortemente burocratizzata. Fu questo il vero punto di caduta dell'analisi economica 'marxiana', la quale si dimostrò poco 'snella' e altrettanto ingiusta, poiché egualitaria in senso puramente formale e non anche in quello sostanziale. In buona sostanza, dobbiamo tutti quanti smetterla di continuare a 'sbarellare' tra concetti estremi o addirittura opposti. Il risultato di una fase di progresso socioeconomico reale deriva anche da ciò che i singoli individui creano o, più semplicemente, fanno nella loro vita di tutti i giorni: non può dipendere tutto da una programmazione pianificata dall'alto. In secondo luogo, una miglior qualità della vita deriva anche da fattori socioantropologici, che incidono anch'essi nel processo di sviluppo di una società. Se i nostri figli non vengono bene istruiti e si tollera una scuola basata più sulle promozioni che sul nutrimento culturale dei singoli alunni, il futuro di una nazione sarà peggiore, poiché si mescoleranno valori e princìpi con scopi e finalità, anche quelle più ciniche ed egoistiche. E ciò non avviene esclusivamente sul terreno empirico del capitalismo finanziario. Non ci sono solo problemi di soldi, di investimenti non effettuati o fatti in ritardo e, dunque, poco competitivi sui mercati: esistono anche fattori sociali e umani, in cui il processo di accumulazione è necessario, al fine di mantenere in equilibrio lo sviluppo stesso della società. Esistono, insomma, anche problemi 'spirituali', valoriali, di principio, che accompagnano il processo di accumulazione materiale con fattori sovrastrutturali, culturali e politici, attraverso processi di sintesi non puramente utilitaristici. Altrimenti, diviene normale assistere a una degenerazione continua della società, in cui anche i rapporti umani più semplici degradano nella mercificazione, avvicinando persino argomenti come l'amore verso forme di prostituzione o di pornografia. Tale nostro ragionamento giunge persino in grave ritardo, poiché una larga fetta del mercato ha già da tempo generato molte delle sue distorsioni più squallide e materialistiche, a dimostrazione di una confusione 'oggettiva' tra spirito e materia, tra teoria e prassi. Tutto ci trascina, sempre e comunque, verso i medesimi difetti: quello di porre unicamente il consumo al centro delle nostre analisi, favorendo processi di sviluppo 'caricaturali' e persino attitudini mortifere. Ecco perché è corretto proporre nuovi modelli di sviluppo: per riportare le nostre analisi su quel 'terreno di mezzo' che eviti ogni sganciamento dell'interesse indivuale rispetto a quello generale. Solo la politica può correggere i processi produttivi nella direzione più corretta, anticipando le mosse dell'economia o condizionandone la direzione di marcia. Perché il sistema di mercato è come un cavallo selvaggio che corre a briglie sciolte. Un cavallo che può e dev'essere guidato unicamente dalla politica.

PER LEGGERE LA NOSTRA RIVISTA MENSILE CLICCARE QUI




(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 50 - settembre 2019)

Lascia il tuo commento

Carlo Cadorna - Frascati - Mail - lunedi 30 settembre 2019 14.40
Bell'articolo che mette in risalto l'inadeguatezza della classe dirigente che dovrebbe preparare e guidare nei grandi cambiamenti in atto.


 1