Martedì 20 agosto 2019, in
Italia è caduto il
65esimo governo in
71 anni. Niente allarmismi, quindi: il nostro Paese è più avvezzo alle
crisi che alla
stabilità politica. Ciò che invece deve preoccupare è la progressiva
perdita di fiducia degli italiani nei confronti delle
istituzioni. E ancor di più, il dilagare di una forma di
demagogia che, semplificando drammaticamente il dibattito pubblico, corrode dall'interno la
democrazia parlamentare, basata non sul
governo dei più - come qualcuno vorrebbe farci credere - ma sul
principio di rappresentanza. In ogni caso, lo scorso
20 agosto è andato in scena l'ultimo atto di una
'tragicommedia' a sfondo politico, iniziata lo scorso
8 agosto, quando la
Lega, capitanata da
Matteo Salvini, ha presentato una
mozione di sfiducia al
governo Conte. Dopo lunghi giorni di
fibrillazione estiva, i gruppi parlamentari dei diversi Partiti si sono riuniti a
Palazzo Madama per ascoltare l'attesissimo discorso del presidente del Consiglio,
Giuseppe Conte, il quale - com'era prevedibile - ha annunciato le sue
dimissioni. Fine dell'esperienza di governo
'gialloverde': controversa, discussa, innegabilmente discutibile. Eppure, proprio nell'ultimo giorno di questo inedito e (ormai possiamo dirlo)
fallimentare esperimento politico, sono emersi tratti inediti della personalità istituzionale e umana proprio di
Giuseppe Conte. In extremis, questo discreto
'avvocato del popolo' - così come lui stesso si è definito in occasione del suo insediamento a
Palazzo Chigi - passato in secondo piano per
14 mesi, quasi fosse una figura marginale se non irrilevante, ha lanciato un messaggio potente non solo alla
Lega, ma anche al
popolo italiano: "La cultura e il ruolo delle istituzioni non dovrebbero mai passare in secondo piano, a dispetto di comizi di piazza e boutades sui social". Si può riassumere così l'intervento tenuto
dall'ex presidente del Consiglio dei ministri, che per quasi un'ora ha accusato
Salvini di avere messo
interessi personali e
di Partito davanti al
bene comune, calpestando le
istituzioni di cui lui stesso fa parte e mettendo a repentaglio la
stabilità economica del nostro Paese. In piedi accanto a un leader del
Carroccio visibilmente insofferente, che non faceva che rivolgere gli occhi al cielo come a chiedere pazienza alla
Madonna (alla quale si appella di continuo),
Conte ha implicitamente ribadito la differenza fondamentale che intercorre fra una
democrazia parlamentare e la forma di moderna
demagogia di cui il leader leghista si è fatto interprete.
"Le elezioni sono l'essenza della democrazia", ha affermato
Conte, "ma sollecitare il popolo a votare ogni anno è da irresponsabili. Ancor di più", ha rincarato,
"se il ritorno alle urne anticipato viene fatto coincidere con un momento di instabilità come quello che sta vivendo l'Italia, che dovrà presentare la nota di aggiornamento al Def a fine settembre", vale a dire fra poco più di
trenta giorni. Al di là dell'apprezzamento o meno
dell'esecutivo Conte, che è certamente discutibile, almeno un merito va riconosciuto a questa figura così in
controtendenza con i tempi che corrono, perché
discreta, poco mediatica, priva del
carisma e della forza di un
leader di piazza: il rispetto delle istituzioni e del ruolo fondamentale che il
parlamento ha all'interno della nostra democrazia. In un mondo in cui il
populismo e la
demagogia dilagano come
cavalli galoppanti, non solo in
Italia ma in tutto il mondo occidentale, non sono le
elezioni a proteggerci dalle
derive dittatoriali e/o autoritarie, ma le
istituzioni pubbliche e il ruolo delle
opposizioni, che solo il
parlamento garantisce. E' grazie alle
istituzioni e al
parlamento che nessuno, in
Italia, può rivendicare
"pieni poteri" senza suscitare
ilarità. Ed è proprio in virtù di questo fatto che
Giuseppe Conte, all'indomani della mozione di sfiducia presentata dalla
Lega, ha annunciato l'immediata
parlamentarizzazione della crisi di governo. Ben consapevole che in
Senato, a differenza che nelle piazze,
Salvini giocava svantaggiato in termini numerici.
"Caro ministro dell'Interno, caro Matteo", ha sottolineato a un certo punto
Conte, "trovo preoccupante la tua richiesta di pieni poteri e il tuo continuo appellarti alle piazze". Dunque, un
netto 'no' ai
"pieni poteri" e un
'sì' alla
cultura istituzionale e al senso di
responsabilità politica. Prima di annunciare ufficialmente la fine dell'esperienza di governo, il premier ha inoltre rimproverato a
Salvini di
politicizzare la religione, avvalendosi di rosari e crocifissi per carpire il consenso di una parte dell'elettorato italiano. Anche se, a dire il vero, chi si dichiara
cristiano dovrebbe ritenersi offeso nel vedere un
ministro dell'Interno sventolare
simboli religiosi alla stessa strega di
volantini elettorali, perché
lo Stato moderno è laico, dunque concepisce la religione solo come elemento puramente
ispiratorio (Alcide De Gasperi) o come
sentimento privato (Luigi Einaudi). Il
futuro dell'Italia è ora nelle mani del presidente della Repubblica,
Sergio Mattarella, il quale ha già avviato le consultazioni con i gruppi parlamentari. Gli scenari possibili, al momento in cui si scrive, sono tre:
a) il formarsi di una nuova alleanza
M5S-Pd con un leader da definirsi;
b) lo
scioglimento delle Camere con conseguente ritorno alle urne in autunno;
c) l'istituzione di un
governo tecnico o
istituzionale, volto a varare la
legge di bilancio. In vista delle possibili elezioni, a prescindere dal colore politico di appartenenza, dovremmo tenere a mente una verità fondamentale: la
democrazia non si basa sul
governo dei molti (antica e pericolosa
'chimera rousseauiana'), ma sul
principio di rappresentanza garantito dal
parlamento. E chiunque dichiari di farsi
unico portavoce del volere del popolo o è solamente un pessimo
attore, oppure uno
sciocco, che di certo non agisce in vista del
bene comune.