"Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d'accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili. Le rarità ai rari", diceva
Nietzsche. Ci chiediamo, oggi, come commenterebbe il filosofo l'evidente
opportunismo istituzionale in cui è precipitato il nostro Paese.
L'opportunismo, in ogni ambito, è una malattia pericolosa: alimenta la
sfiducia e può
generare mostri. Figuriamoci in un contesto come quello politico attuale, che sconta già da decenni una
sfiducia generalizzata da parte degli elettori. Ora, non c'è persona intellettualmente onesta che possa sottacere l'abitudine, ormai sfacciata, di trattare i temi che riguardano il
funzionamento e la
riforma delle nostre istituzioni in un'ottica essenzialmente
partigiana, legata alle convenienze del momento. È all'evidenza di tutti che ciò che è in gioco non sia uno scontro puramente e semplicemente politico tra chi vorrebbe elezioni subito e chi, invece, vorrebbe far durare la legislatura. Sia chiaro: tale dibattito è assolutamente
legittimo ed è nella natura delle cose, poiché ciascuno, in politica, persegue i suoi fini e difende i propri interessi, rispondendone di fronte agli elettori. Quello che preoccupa è che, per esorcizzare la natura politica del confitto si chiamino in causa, opportunisticamente appunto, argomenti che dovrebbero invece esprimere un
interesse più generale, svincolato dalla contesa contingente. Specie in un momento di così grave posizionamento del Paese sugli
scenari internazionali, in cui ogni istante può essere quello fatale, non soprassedere sulle politiche di
viltà in favore di un
bene comune superiore, la
salvezza della nazione, è un
tradimento verso quel patto di rappresentanza che lega le
Camere al
popolo, che rimane
sovrano, ovviamente, ma nelle
forme e nei
limiti dettati dal testo costituzionale. I tempi e i modi di una
riforma come quella del
taglio dei parlamentari, o una
procedura corretta per formalizzare una
crisi di governo, sono temi delicatissimi: non a caso molte
Costituzioni prevedono delle
procedure formalizzate e
precise proprio per evitare
cortocircuiti. Alcuni ordinamenti codificano con disposizioni formali o consuetudini consolidate le modalità per giungere allo
scioglimento delle Camere: alcune
Costituzioni prevedono, per esempio, che si tenga
un'elezione tra il momento della
prima approvazione della
riforma costituzionale e la sua
entrata in vigore. In
Italia, purtroppo, nessuna delle due questioni è adeguatamente regolata. E il
vuoto normativo consente un fiorire, anche tra i tecnici, di interpretazioni più o meno fondate, ma certamente
diverse e
divaricate. Ecco per quale motivo l'opinione pubblica si trova di fronte a una grande
confusione: si fa fatica ad accettare che alcune questioni di tale importanza siano
opinabili. Soprattutto, quando lo scontro si svolge brandendo le opinioni come
verità assolute. Nell'immediato, si produce un unico risultato:
incertezza e
diffidenza verso
politici ed
esperti. La percezione diffusa è che gli argomenti costituzionali diventino prese di posizione
partigiane. E non sapendo a chi credere, o non si crede
a nessuno, o si crede faziosamente solo ai
'propri'. L'intero sistema ne risulta
delegittimato, con il rischio che, anche in questo caso, si alimenti una
reazione antipolitica che trova il suo
brodo di coltura proprio
nell'incertezza e nella
diffidenza. Lo sgretolamento di una
grammatica costituzionale condivisa rischia di
travolgere tutto e tutti: per questo motivo, la situazione è drammatica ben al di là della sorte di un
governo. Certo, ognuno può cercare il proprio
'capro espiatorio' di comodo, gettando la colpa su questo o quel protagonista, ma sarebbe disonesto intellettualmente credere davvero che esista un singolo carnefice che tenta di divorare tutti gli innocenti.
Voltafaccia, faziosità, trasformismo, uso di comodo degli argomenti, disinvoltura nel cambiare posizioni dall'oggi al domani sono fenomeni ormai
diffusi e trasversali. Si ritiene che non sia opportuno
sciogliere le Camere prima dell'approvazione referendaria della riduzione dei parlamentari? Bene, allora si riformi
subito. Ma
subito. E non si parli di
governi di legislatura. E soprattutto, non ci si inventi, pur di andare alle
calende, stiracchiati automatismi per cui, ridotti i parlamentari, si deve poi approvare una
legge elettorale nuova, possibilmente proporzionale, oppure di ristrutturare gli
uffici delle Camere per adeguarli alla nuova composizione. Dall'insediamento del governo, avvenuto il
1° giugno 2018, gli occupati sono diminuiti di
91 mila unità; lo
spread è raddoppiato; la
produzione industriale è scesa di
11 punti; la pressione fiscale è salita dello
0,4%; gli
investimenti esteri di portafoglio sono calati di
99 mld. Se la stima di
Fitch (+0,1%) è realistica, il
rapporto deficit/Pil 2019 sarà almeno del
2,5%. E se il governo intende evitare
l'aumento dell'Iva nel
2020 col
deficit, esso schizzerà al
4%. Vuol dire un
debito/Pil che va oltre il
135%. In buona sostanza, a colpi di
ignoranza e di
cialtroneria, stiamo andando verso il
disastro.
Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A. D. R. & Conflict Management
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