In merito alla questione delle cosiddette
'fake news', la riflessione che proponiamo in questo numero prende le mosse, innanzitutto, da un antico e saggio
'adagio', che merita di essere considerato una coordinata addirittura ideologica e assoluta, soprattutto dai giornalisti e da chi si occupa di informazione: i
fatti debbono essere
ben distinti dalle opinioni. Si tratta di un principio che, nella realtà, può incontrare una certa labilità di confini e che, tuttavia, mantiene una propria validità in quanto
'bussola' di orientamento professionale di un giornalista. In secondo luogo, una testata di informazione può certamente manifestare il proprio orientamento politico, ma essa deve quotidianamente fare i conti anche con un altro principio fondamentale:
il lettore merita la verità, anche quando essa va contro la
linea editoriale della testata medesima. Ciò non lede affatto il principio democratico di
libertà di opinione espresso dalla nostra
Costituzione: scrivere o dichiarare la verità, anche quando essa va contro le nostre opinioni personali, è un
dovere deontologico del giornalista.
Indro Montanelli, nei suoi servizi
dall'Ungheria, redatti nei giorni della rivolta del
1956, dovette ammettere che il popolo magiaro non si era ribellato poiché mosso da una qualche forma di
anticomunismo ideologico, bensì in nome di un
socialismo umanitario e
democratico. E proprio l'ammissione di tale verità diede la misura della
credibilità e della
correttezza professionale di questo nostro giornalista, anche se egli proveniva da quella piccola borghesia agraria che aveva trascorso i suoi anni formativi totalmente immersa all'interno del
regime 'mussoliniano'. Indro Montanelli seppe mettere da parte il suo anticomunismo per raccontare, il più fedelmente possibile, la rivolta del popolo ungherese, motivata da una richiesta di declinazione più
'elastica' e, per certi versi,
'galileiana' dei
princìpi marxisti. Si trattava di una verità dettata dai fatti. E
Montanelli fu costretto a registrarla. Trasportando tutto questo su un terreno più generale, si può certamente affermare, all'interno di un articolo, l'esistenza di alcune incongruenze non facilmente spiegabili in merito a un avvenimento storico, come per esempio
lo sbarco degli americani sulla Luna, avvenuto nel
luglio del
1969: esattamente
50 anni fa. Quel che un giornalista non dovrebbe mai fare è
negare che quel fatto si sia verificato, magari ipotizzando, senza alcuna prova, che quella difficilissima impresa sia stata costruita
'a tavolino' in un set cinematografico, sotto l'onirica regia di
Stanley Kubrick. Un giornalista non può
negare l'evidenza di fatti, dati e
numeri. Al contrario, egli è deontologicamente tenuto a
diffondere fatti, dati e
numeri anche quando la sua opinione personale è fermamente convinta del contrario, o tenda a rigettare una verità per questioni di sensibilità personale, oppure ancora per una qualsivoglia motivazione irrazionale. Non si può
negare che l'uomo sia arrivato sulla
Luna, poiché esistono delle prove inconfutabili di ciò: nelle ultime missioni
Apollo del
1971/72, la
Nasa fornì ai propri astronauti tutte le procedure per costruire un
'Rover', una piccola autovettura prefabbricata che li aiutasse a spostarsi più velocemente sul suolo lunare, anziché continuare a saltellare come dei
canguri. Ebbene, quel veicolo lasciò sul nostro satellite le
tracce dei suoi pneumatici, ancora oggi visibili dai
satelliti e persino da qualche telescopio che abbiamo mandato in orbita per perlustrare gli spazi più profondi dell'universo. Sulla
Luna non c'è atmosfera. Pertanto, quando si lascia sul terreno anche una semplice
impronta, essa rimane visibile, fissa e immodificabile, praticamente per sempre. Dunque, non si può affermare allegramente in un articolo che gli americani non siano mai andati sulla
Luna per
'partito preso', o per
mera convinzione personale: sarebbe come dire che la
menzogna equivale esattamente alla
verità, senza distinzione alcuna, appiattendo ogni
valore qualitativo e ogni
principio di professionalità al solo fine di facilitare una semplice
'addizione' di ipotesi totalmente
'campate' per aria. La
verità non è affatto una
'addizione' di fattori ed elementi. Al contrario, essa è una
'combinazione' di elementi:
un'equazione tra le tesi che si stanno portando avanti, poste al vaglio delle
prove che s'incontrano e delle
verifiche che si debbono effettuare
prima di renderla pubblica. Sono tutte cose, insomma, che
vanno fatte 'prima' della pubblicazione:
non durante, né dopo. Persino
le domande di un'intervista vanno
predisposte in anticipo, perché altrimenti il servizio giornalistico diventa una
chiacchierata che perde di vista l'obiettivo di
informare i lettori in merito a una
notizia particolare, di cui l'intervistato risulta essere a conoscenza o parte in causa. Per farla breve:
un'intervista non è affatto una
'messa in vetrina' di un personaggio. Il
sofismo dialettico, pur avendo nobili origini filosofiche, raramente possiede cittadinanza nel mondo dell'informazione, perché il giornalista è soprattutto un
cronista, tenuto - come nel caso di
Indro Montanelli - a
raccontare una rivoluzione, non a
esaltarla a cose fatte. Oltre a ciò, ogni volta che un
fatto qualsiasi viene rivelato, esso inizia a
perdere, giorno dopo giorno, il suo connotato di
'notizia', come fosse una porta che, lentamente, comincia a chiudersi. A quel punto, quando cioè una notizia è ormai
'scaduta', la competenza per parlarne passa ad altri: agli storici, ai politici, persino ai filosofi e ai sociologi. Insomma, quando una notizia è
'scaduta', tecnicamente essa non appartiene più ai giornalisti: il loro compito è ormai terminato. Si può criticare, nel bene o nel male, un libro di
Susanna Tamaro, tanto per fare un altro esempio. Ma non si può negare che quest'autrice lo abbia
scritto e lo abbia
dato alle stampe, dopo aver trovato un editore disposto a pubblicarlo: sarebbe un
totale controsenso, una
logica controfattuale. Né si può affermare che ella lo abbia completamente copiato,
plagiando altri testi: tale affermazione può valere per qualche
spunto, per alcune
citazioni, persino per alcuni
capitoli, se vogliamo, non per
l'intera opera presa nel suo complesso. Nella logica
'mutualistica' - che spesso richiamiamo, ma di cui nessuno comprende un semplice
'fico secco' - è pienamente concessa la possibilità di
assumere elementi esogeni, al fine di trovare parole più adatte a favorire una diffusione più ampia, tra i lettori, di uno scritto. Quel che non si può fare è
l'estrazione di peso di un testo qualsiasi per firmarlo a nome proprio, oppure negare che
un'opera qualsiasi manchi di
dignità letteraria al fine di
screditare chi l'ha scritta, o per altre ragioni totalmente soggettive. Tutto questo non toglie nulla al
principio di non esistenza della verità oggettiva: semplicemente, delimita con maggior precisione quali siano gli ambiti per fare in modo che tutto ciò che si scrive sia, il più possibile,
vicino alla verità, meritando una
credibilità professionale accertata e verificabile. Ecco perché è giusto che i giornalisti possiedano
un Ordine di controllo deontologico, anche se spesso
funziona male o
non riesce ad arrivare dappertutto: per porre alcuni
'paletti' sacrosanti; per stabilire
confini più precisi tra
informazione e
pubblicità; per
distinguere la
comunicazione divulgativa dall'autoreferenzialità; per non confondere le
analisi scientificamente serie e comprovate con le svariate forme di
condizionamento e di
controllo del
pensiero dei lettori o del pubblico più in generale. Mantenere una forma di
controllo dell'informazione rimane
un'esigenza primaria fondamentale. E' lecito criticare il
modo in cui tale controllo viene esercitato, ma ciò è cosa ben diversa dal lasciar andare a
'briglie sciolte' le opinioni di un giornalista su un determinato fatto, su un'opera letteraria, sulle decrittazioni e le decodificazioni più fantasiose, o quelle meno opportune. In primo luogo, perché esse
non sono affatto una notizia; in secondo luogo, perché quando si opera in questo modo non si è più
giornalisti che intendono
informare i lettori, bensì e più semplicemente dei
qualunquisti che
cercano fortuna in altri
campi artistici o
letterari, provando a imporre una propria
visione prestabilita per finalità biecamente personali o di vendita.
L'informazione è materia
pienamente umanistica, non
commerciale. E il ruolo e la funzione del giornalista dev'essere
salvaguardato, non
'attaccato' o
colpito a prescindere, perché ciò corrisponde esattamente a quanto accade nelle
guerre civili, dove le varie fazioni che si scontrano tra loro hanno l'interesse convergente di
non far sapere al mondo tutte le crudeltà che stanno commettendo, imponendo la
censura della morte ai giornalisti prima ancora che ai propri
nemici. Esistono tanti modi per
'imbavagliare' un giornalista e attentare alla libertà di stampa. Uno di questi è proprio quello di
negarne la professionalità e il rispetto delle
regole deontologiche. E chi lo fa, è tenuto a sapere di essere sullo stesso piano morale di un
dittatore sanguinario. La gente ha diritto di essere
bene informata: chi lo
nega, o continua a
giuocare con tali princìpi al fine di
vanificarli, è solo ed esclusivamente uno
'sfigato'...PER LEGGERE LA NOSTRA RIVISTA MENSILE CLICCARE QUI
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dal mensile 'Periodico italiano magazine' n. 49 - luglio/agosto 2019)