In un qualunque Stato che si definisca
civile e democratico, la legge sulla libertà religiosa è una delle più
significative e importanti. Infatti, uno dei fondamentali diritti della persona umana è proprio quello alla
libertà religiosa, diritto che si fonda sulla dignità della persona stessa. «Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere
immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata» (Dignitas humanae, 2). Un elemento che tuttavia desidero evidenziare si riallaccia al martirio dell’apostolo Pietro. Questo ci ricorda come
il martirio per motivi di fede religiosa rappresenta, da parte di chi lo subisce, l’atto supremo di
affermazione del proprio diritto alla libertà religiosa e, da parte di chi lo infligge, l’atto più esecrando di conculcamento della libertà altrui. Non possono invece essere considerati martiri
coloro che si suicidano, tentando o meno di uccidere, nel nome della propria fede religiosa. Infatti, tali persone non rispettano la propria vita e nel caso del suicidio-omicidio anche quella altrui. I martiri per fede religiosa sono coloro che hanno rispettato
i diritti inviolabili della persona umana, a iniziare da quello alla vita e che, con l’effusione del loro sangue, hanno
sancito il fondamentale diritto alla libertà religiosa.
Queste sintetiche considerazioni possono già far capire quanto sia grande il
rilievo sociale di una legge che regolamenti il campo della libertà religiosa. Tale legge è fondamentale non solo per la società civile contemporanea, ma anche e ancor più per quella futura, poiché può contribuire, in maniera determinante, a
stemperare tensioni e prevenire conflitti. Ritengo pertanto non esagerato affermare che tale legge è
una delle più importanti dello Stato.
L’attuale
ddl 2531, è fondamentalmente un testo
apprezzabile, fatta salva la necessità di alcuni
emendamenti che ne migliorino la formulazione e l’applicazione. L’approvazione di una legge in materia di libertà di religione, colmerebbe quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una
carenza legislativa: infatti, la vigente legislazione sui culti ammessi, che risale al
1929, ovvero quella parte della stessa rimasta in vigore dopo gli interventi della Corte Costituzionale, oltre ad essere
obsoleta non ha impedito il riconoscimento di
aggregazioni religiose di irrilevante presenza sociale e non è in grado di arginare un ricorso indiscriminato
al regime delle intese.
Una prima osservazione desidero farla sull’introduzione nel ddl della figura della
“guida spirituale o soggetto equiparato”, accanto a quella di
“ministro di culto”. La tradizione legislativa ha sempre utilizzato
la categoria laica e liberale di “ministro di culto”. Lo Stato riserva a se stesso il compito di
decidere chi sia e cosa rappresenti un ministro di culto agli effetti civili. Ciò comporta che utilizzare termini diversi per indicare quella che secondo i parametri dettati dallo Stato potrebbe essere un’unica figura, oltre a essere
ultroneo può
ingenerare confusione e problemi nell’interpretazione e applicazione della legge. Se, invece, l’introduzione di
termini diversi nasce dall’esigenza di
marcare una differenza tra queste figure si ottiene l’effetto di
conferire rilievo a qualifiche confessionali di problematica identificazione e definizione. Che una singola confessione religiosa possa chiamare in altro modo quello che lo Stato definisce ministro di culto,
non ha alcuna rilevanza ai fini civili. Introducendo invece nell’articolato di legge, figure diverse e di difficile individuazione, potremmo pertanto trovarci di fronte alla paradossale situazione di
persone appartenenti a una medesima confessione religiosa che chiedono, alcune il riconoscimento del loro ruolo di guide spirituali (in quanto si ritengono tali) e altre di ministro di culto. Oppure, considerata la non opportunità del ricorso all’autoqualificazione da parte dei soggetti in questione, vedremmo
lo Stato tentare di stabilire, con prevedibili difficoltà,
quali confessioni religiose possono contemplare la categoria di “ministro di culto”, quali quella di “guida spirituale” e quali di “soggetti equiparati”.
Un'altra figura che andrebbe
meglio precisata nel testo del disegno di legge è quella
dell’ente esponenziale. Se l’ente esponenziale rappresenta confessioni religiose diverse o addirittura appartenenti a tradizioni religiose diverse, non si vede come possa essere
equiparato, nel riconoscimento giuridico o nella stipula d’intesa, a una confessione religiosa.
Un’ulteriore osservazione è sul concetto di
finalità, o fine, o attività “di religione o di culto”, riportato in alcuni articoli del ddl (5, 24, 25, 26). Ebbene, tale definizione è sì riscontrabile anche nella Costituzione, ma quando fu scritta il termine
culto poteva anche essere considerato
sinonimo di confessione religiosa. Infatti, era allora, come ora, in vigore la legislazione sui
culti ammessi. Oggi, però,
disgiungere il fine di culto da quello di religione potrebbe ingenerare difficoltà interpretative e applicative della legge, sia perché il termine culto ha assunto
ulteriori significati, sia perché è possibile
rilevare la presenza di organizzazioni che promuovono attività cultuali non legate espressamente a finalità religiose. Pertanto, sarebbe preferibile
sostituire la congiunzione disgiuntiva “o” con la congiunzione “e”, in quanto tutte le confessioni religiose perseguono
finalità di religione e di culto.
In conclusione, desidero auspicare che venga approvata dal Parlamento, in maniera largamente condivisa, una legge che conduca lo Stato ad avere non solo una normativa
più valida e moderna in tema di libertà religiosa, ma che sia anche percepita dai cittadini come
legge che tutela efficacemente, nel suo ambito di applicazione, i diritti di tutti e di ciascuno.
Segretario Nazionale del GRIS,
Direttore Editoriale di 'Religioni e Sette nel mondo'