Lorenza Morello'Solidarietà' è una parola che, nel vocabolario italiano, appare solo nel secolo XIX e trova la sua origine nella terminologia giuridica. Il suo significato viene via via evolvendosi entro tre prospettive fondamentali, che costituiscono gli ambiti in cui ne diventano riconoscibili i caratteri principali: la prospettiva giuridica (e delle dottrine politiche); quella filosofico-antropologica; quella biblico-teologica. Questo termine, malgrado tutti i sospetti e le discussioni che lo accompagnano, è oggi in grado di suscitare un vasto consenso: è difficile, ai nostri giorni, trovare qualcuno che si dica contro la solidarietà. Semmai, si discute sul senso da dare al termine e sui modi della sua attuazione. Il valore ideale della solidarietà, insieme a quello della pace e della giustizia, cioè dei diritti umani, rimane in sé ancora uno dei pochi valori universalmente condivisi, almeno nelle dichiarazioni di principio. Nel nostro contesto socio-culturale, dove l'indifferenza verso la comunità e il bene comune è da considerare tra i mali più gravi dell'attuale società poiché la mina alla radice, una breve disamina su questo tema è invero doverosa. Per questo motivo, abbiamo deciso di occuparcene. L'interesse per il tema della solidarietà è oggi notevolmente cresciuto, rispetto a un passato anche recente, sia all'interno del mondo cristiano cattolico/protestante, sia nel mondo laico. A partire dal 1800, questa parola ha conosciuto un uso crescente nel vocabolario civile e, dal Vaticano II in qua, ha avuto una notevole fortuna anche nel vocabolario ecclesiale. Ma un recupero così massiccio di questo termine a che cosa è riconducibile? Probabilmente, una delle ragioni è da ricercarsi nella caduta nel mondo laico (in senso culturale) delle pregiudiziali del passato, che avevano portato a un atteggiamento di diffidenza e di rifiuto nei suoi confronti. Questi pregiudizi coinvolgevano, sia pure per opposti motivi, tanto l'area liberal-capitalista, quanto quella marxista. Mentre, infatti, le correnti liberiste e neo-liberiste respingevano con forza la solidarietà, in nome di una presunta intangibilità delle leggi economiche, i movimenti di ispirazione marxista guardavano alla solidarietà con sospetto, perché la consideravano una forma di possibile copertura dei conflitti sociali: un comodo 'alibi', dietro il quale nascondersi per evitare di affrontare i nodi strutturali delle ingiustizie esistenti. Oggi, cadute queste pregiudiziali negative, la parola solidarietà é molto più usata e, forse, abusata, rischiando di diventare un appello vano, puramente verbale e retorico. Se, parlando di solidarietà, in passato si intendeva richiamare i doveri che una persona era tenuta ad assolvere in base a esigenze di giustizia commutativa (io ti do e tu mi dai) e sociale, oggi si pone in evidenza che è la realtà della persona stessa a esigere da questa dei rapporti di solidarietà con gli altri. Evidentemente, la solidarietà, in prospettiva antropologica, varia in base al modo di considerare la persona umana. Vivere in modo effettivo la solidarietà non viene spontaneo, né per i singoli, né per i gruppi, né per i popoli. La solidarietà nasce dalla libertà con cui si sceglie di corrispondere a un insieme di valori che costituiscono il tessuto profondo del nostro essere-relazione e che sono atte a orientare il nostro impegno. Non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione, ferma e perseverante, di impegnarsi per il bene comune. Ossia, per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti.  Il termine solidarietà, tuttavia, è spesso confuso con altri similari, come giustizia, carità e assistenza. Ed è per questo motivo che esso suscita spesso incomprensioni e confusioni. Diciamo, per intanto, che l'atteggiamento di solidarietà deve contemplare l'altruismo, altrimenti deforma se stesso. Alcuni movimenti xenofobi ostacolano gli immigrati sulla base della solidarietà tra i cittadini di una nazione o di una componente etnicamente omogenea; certe corporazioni stabiliscono sentimenti fortemente solidaristici tra i propri aderenti, per la tutela dei propri interessi. Ebbene, queste non sono forme di solidarietà, perché essa implica la gratuità e l'altruismo. Usando altri termini, la solidarietà non è 'reciprocità'. Quest'ultima consiste nel condividere problemi e vantaggi comuni e nell'essere solidali per conseguirli. La 'solidarietà', invece, consiste nel far proprio un problema che non è nostro. Ciò non significa che anche nell'essere solidali non si abbia un tornaconto, in termini di soddisfazione morale o intellettuale. Tuttavia, nel caso della solidarietà non si tratta di una condivisione di interessi. Si sente spesso magnificare la solidarietà di un tempo, tipica delle comunità rurali premoderne, quando ci si aiutava tra vicini. Ma a ben guardare, più che di solidarietà si trattava di vera e propria 'reciprocità': chi aiutava il proprio vicino, colpito da una avversità, lo faceva anche perché sapeva che, il giorno dopo, questi sarebbe stato tenuto a fare lo stesso nella medesima situazione. Insomma, in un certo senso si doveva pe forza essere solidali, perché era necessario alla sopravvivenza comune. Naturalmente, un tale interesse non escludeva gesti di carattere gratuito, anzi li presupponeva. Non bisogna poi contrapporre la solidarietà alla giustizia. Infatti, la solidarietà s'identifica, anzitutto, con l'azione di denuncia delle 'strutture di peccato' e con lo sforzo di costruire nuove forme di convivenza, che rispettino la dignità dell'uomo e concorrano al raggiungimento della sua liberazione. L'esercizio della solidarietà comporta, dunque, l'assunzione di una precisa responsabilità nei confronti delle strutture, al fine di costruire assetti sociali capaci di venire incontro ai veri bisogni del singolo individuo. Tal visione contrasta con la concezione capitalistico-liberale, secondo la quale lo Stato deve intervenire solo laddove non arriva la carità privata. Il liberalismo non fa della solidarietà né un fatto economico, né un fatto politico, ma semplicemente un fatto privato di buona volontà. Ora, la vera solidarietà riconosce, anzitutto, che l'altro è, come me, persona e che ha. E, in quanto tale, prima di tutto ha dei diritti che la società nel suo complesso gli deve riconoscere. La prima forma di solidarietà è realizzare la giustizia e dare a ciascuno quanto gli è dovuto. Per questo, essa non può ridursi ad assistenza, né tantomeno a elemosina, ma assume una dimensione giuridica e politica (l'intervento dei poteri pubblici e l'organizzazione della società in funzione dei diritti di tutti e, specialmente, dei più deboli). Per cui, il tema della solidarietà va sempre inserito all'interno di quello dei diritti umani. E' anche vero che la solidarietà non si esaurisce nella pratica della giustizia: essa ha di mira, in definitiva, la persona nella sua unicità, nella singolarità della sua vocazione. La giustizia, invece, si muove prevalentemente sul piano dell'oggettivo e tende all'uguaglianza dei diritti e alla soddisfazione dei bisogni, ma ignora le dinamiche più profonde dei desiderio umano. Ma proprio questa prospettiva fa emergere l'importanza 'politica' della solidarietà, data la crescente interdipendenza degli uomini tra loro e la disgregazione della famiglia tradizionalmente intesa, che vede, secondo gli studi più recenti, una civiltà sempre più mononucleare.




Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A.D.R. & Conflict Management
www.masmore.ch

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio