'Solidarietà' è una parola che, nel vocabolario italiano, appare solo nel
secolo XIX e trova la sua origine nella terminologia giuridica. Il suo significato viene via via evolvendosi entro tre prospettive fondamentali, che costituiscono gli ambiti in cui ne diventano riconoscibili i caratteri principali: la prospettiva
giuridica (e delle dottrine politiche); quella
filosofico-antropologica; quella
biblico-teologica. Questo termine, malgrado tutti i sospetti e le discussioni che lo accompagnano, è oggi in grado di suscitare un vasto
consenso: è difficile, ai nostri giorni, trovare qualcuno che si dica contro la
solidarietà. Semmai, si discute sul senso da dare al termine e sui modi della sua attuazione. Il valore ideale della
solidarietà, insieme a quello della pace e della giustizia, cioè dei diritti umani, rimane in sé ancora uno dei pochi valori universalmente condivisi, almeno nelle dichiarazioni di principio. Nel nostro contesto socio-culturale, dove
l'indifferenza verso la
comunità e il
bene comune è da considerare tra i mali più gravi dell'attuale società poiché la mina alla radice, una breve disamina su questo tema è invero
doverosa. Per questo motivo, abbiamo deciso di occuparcene. L'interesse per il tema della
solidarietà è oggi notevolmente cresciuto, rispetto a un passato anche recente, sia all'interno del mondo cristiano
cattolico/protestante, sia nel mondo
laico. A partire dal
1800, questa parola ha conosciuto un uso crescente nel vocabolario civile e, dal
Vaticano II in qua, ha avuto una notevole fortuna anche nel vocabolario ecclesiale. Ma un recupero così massiccio di questo termine a che cosa è riconducibile? Probabilmente, una delle ragioni è da ricercarsi nella caduta nel mondo laico (in senso culturale) delle
pregiudiziali del passato, che avevano portato a un atteggiamento di diffidenza e di rifiuto nei suoi confronti. Questi pregiudizi coinvolgevano, sia pure per opposti motivi, tanto l'area
liberal-capitalista, quanto quella
marxista. Mentre, infatti, le
correnti liberiste e
neo-liberiste respingevano con forza la
solidarietà, in nome di una presunta intangibilità delle leggi economiche, i movimenti di ispirazione
marxista guardavano alla
solidarietà con
sospetto, perché la consideravano una forma di possibile copertura dei conflitti sociali: un comodo
'alibi', dietro il quale nascondersi per evitare di affrontare i nodi strutturali delle ingiustizie esistenti. Oggi, cadute queste pregiudiziali negative, la parola
solidarietà é molto più usata e, forse, abusata, rischiando di diventare un
appello vano, puramente verbale e retorico. Se, parlando di
solidarietà, in passato si intendeva richiamare i
doveri che una persona era tenuta ad assolvere in base a esigenze di giustizia commutativa (io ti do e tu mi dai) e sociale, oggi si pone in evidenza che è la realtà della persona stessa a esigere da questa dei
rapporti di solidarietà con gli altri. Evidentemente, la
solidarietà, in prospettiva antropologica, varia in base al modo di considerare la persona umana. Vivere in modo effettivo la
solidarietà non viene spontaneo, né per i singoli, né per i gruppi, né per i popoli. La
solidarietà nasce dalla libertà con cui si sceglie di corrispondere a un insieme di valori che costituiscono il tessuto profondo del nostro essere-relazione e che sono atte a orientare il nostro
impegno. Non è un sentimento di
vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la
determinazione, ferma e perseverante, di impegnarsi per il
bene comune. Ossia, per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti. Il termine
solidarietà, tuttavia, è spesso confuso con altri similari, come
giustizia, carità e
assistenza. Ed è per questo motivo che esso suscita spesso
incomprensioni e
confusioni. Diciamo, per intanto, che l'atteggiamento di
solidarietà deve contemplare
l'altruismo, altrimenti deforma se stesso. Alcuni movimenti
xenofobi ostacolano gli
immigrati sulla base della
solidarietà tra i cittadini di una
nazione o di una componente
etnicamente omogenea; certe
corporazioni stabiliscono sentimenti fortemente solidaristici tra i propri aderenti, per la
tutela dei propri
interessi. Ebbene, queste non sono forme di
solidarietà, perché essa implica la
gratuità e
l'altruismo. Usando altri termini, la
solidarietà non è
'reciprocità'. Quest'ultima consiste nel condividere problemi e vantaggi comuni e nell'essere solidali per conseguirli. La
'solidarietà', invece, consiste nel far proprio un problema che non è nostro. Ciò non significa che anche nell'essere solidali non si abbia un
tornaconto, in termini di soddisfazione morale o intellettuale. Tuttavia, nel caso della
solidarietà non si tratta di una condivisione di interessi. Si sente spesso magnificare la
solidarietà di un tempo, tipica delle
comunità rurali premoderne, quando ci si aiutava tra vicini. Ma a ben guardare, più che di
solidarietà si trattava di vera e propria
'reciprocità': chi aiutava il proprio vicino, colpito da una avversità, lo faceva anche perché sapeva che, il giorno dopo, questi sarebbe stato tenuto a fare lo stesso nella medesima situazione. Insomma, in un certo senso si doveva pe forza essere
solidali, perché era necessario alla sopravvivenza comune. Naturalmente, un tale interesse non escludeva gesti di carattere
gratuito, anzi li
presupponeva. Non bisogna poi contrapporre la
solidarietà alla
giustizia. Infatti, la
solidarietà s'identifica, anzitutto, con l'azione di denuncia delle
'strutture di peccato' e con lo sforzo di costruire nuove forme di
convivenza, che rispettino la
dignità dell'uomo e concorrano al raggiungimento della sua
liberazione. L'esercizio della
solidarietà comporta, dunque, l'assunzione di una precisa
responsabilità nei confronti delle strutture, al fine di costruire
assetti sociali capaci di venire incontro ai veri bisogni del singolo individuo. Tal visione contrasta con la concezione
capitalistico-liberale, secondo la quale lo
Stato deve intervenire solo laddove non arriva la
carità privata. Il
liberalismo non fa della
solidarietà né un
fatto economico, né un
fatto politico, ma semplicemente un
fatto privato di buona volontà. Ora, la vera
solidarietà riconosce, anzitutto, che l'altro è, come me, persona e che ha. E, in quanto tale, prima di tutto ha dei
diritti che la società nel suo complesso gli deve riconoscere. La prima forma di
solidarietà è realizzare la
giustizia e dare a ciascuno quanto gli è dovuto. Per questo, essa non può ridursi ad
assistenza, né tantomeno a
elemosina, ma assume una dimensione
giuridica e
politica (l'intervento dei poteri pubblici e l'organizzazione della società in funzione dei diritti di tutti e, specialmente, dei più deboli). Per cui, il tema della
solidarietà va sempre inserito all'interno di quello dei
diritti umani. E' anche vero che la
solidarietà non si esaurisce nella pratica della
giustizia: essa ha di mira, in definitiva, la
persona nella sua
unicità, nella singolarità della sua vocazione. La
giustizia, invece, si muove prevalentemente sul piano
dell'oggettivo e tende
all'uguaglianza dei diritti e alla
soddisfazione dei bisogni, ma ignora le dinamiche più profonde dei desiderio umano. Ma proprio questa prospettiva fa emergere
l'importanza 'politica' della solidarietà, data la crescente interdipendenza degli uomini tra loro e la disgregazione della
famiglia tradizionalmente intesa, che vede, secondo gli studi più recenti, una civiltà sempre più
mononucleare.
Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A.D.R. & Conflict Management
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