Chi è
Benyamin Somay? E' un uomo con una storia tutta da conoscere e raccontare. Una vicenda simile a tante altre, nei nostri tempi, che vedono il fenomeno migratorio al centro dell'attualità.
Benyamin Somay ha in gola un grido forte e represso per troppo tempo: quello suo personale, che diviene un tutt'uno con quello del
popolo curdo a cui appartiene. Un grido che, finalmente, si sta liberando. Nella sua autobiografia,
'Il vento ha scritto la mia storia', edito da
La Meridiana, egli racconta i primi anni della sua vita e il viaggio che lo ha condotto in
Europa. Lui è nato a
Darband, in una famiglia di pastori ed è cresciuto a
Neychalan: due piccoli villaggi del
Kurdistan iraniano. A ventidue anni, dopo l'arresto da parte della polizia iraniana di un amico, anch'egli curdo,
Benyamin è stato costretto ad abbandonare le proprie radici per cercare salvezza in
Europa. E' iniziato, così, il suo lungo ed estenuante viaggio tra
Turchia e
Grecia, Italia e
Francia, Danimarca e, ancora,
Italia: il suo ultimo approdo, dove è stato accolto dalla comunità salentina di
Gallipoli, gestita da
Don Salvatore Leopizzi, ormai diventato un grande amico di
Benyamin. Un viaggio tra gommoni e traversate a piedi, di notte e al freddo; tra centri di detenzione e la prigionia trascorsa in scantinati gestiti dalla criminalità organizzata; tra frontiere, controlli, barriere, povertà, fame e violenza. Oggi, finalmente, è un uomo libero e ha un lavoro. E può utilizzare il suo nome:
Benyamin. Infatti, la prima di una lunga serie di violenze l'ha subita a causa del nome scelto dai suoi familiari, che non andava bene alle autorità iraniane: troppo occidentale.
Shahriar, più arabo, poteva andare. La sua autobiografia non è solo il racconto della sua esistenza, bensì s'incrocia con la storia stessa del suo popolo, quello
curdo, che sta ancora cercando la sua
indipendenza nazionale. Un popolo che, oggi, non ha alcun diritto, neppure quello di parlare la propria lingua. Ma è anche la storia felice della solidarietà della comunità di
don Tonino Bello, che
Benyamin ha incontrato in
Puglia e della sua grande amicizia con
don Salvatore Leopizzi, che
don Tonino Bello lo ha realmente conosciuto. A distanza di due anni dalla pubblicazione, il libro di
Benyamin è tutt'ora attualissimo, vista la propaganda odierna relativa ai fenomeni migratori. E la casa editrice
'La Meridiana', lo scorso
20 marzo, presso la
sala Egea dell'Istituto dell'Enciclopedia italiana, ha organizzato un convegno dedicato a questo lavoro, proprio per parlare di questi temi. La moderatrice della presentazione era
Elvira Zaccagnino, direttore generale e commerciale della casa editrice stessa. Sono inoltre intervenuti:
Sevgi Dogan e
don Salvatore Leopizzi, che hanno esposto le loro posizioni relative al dibattito. Al termine della presentazione, c'è stato l'intervento di chiusura, ovviamente, dell'autore.
Sevgi Dogan, originaria del
Kurdistan turco e ricercatrice presso
l'università di Pisa, ha esordito con una relazione particolarmente attenta sulla
visione 'kantiana' e
illuminista del
cosmopolitismo, in cui ognuno è
"cittadino del mondo". In particolare, si è soffermata sull'importanza dell'operato delle
donne combattenti curde, che si sono ribellate allo
Stato islamico. Don Salvatore Leopizzi ha parlato della relazione d'aiuto e di accoglienza instaurata da subito con
Benyamin, facendo riferimento ai precetti a lui insegnati da
don Tonino Bello in persona, prima della sua scomparsa. Ideali basati sulla fratellanza, l'uguaglianza e il rispetto per i popoli che compongono il mondo intero, senza distinzione alcuna. A margine della presentazione abbiamo avuto l'occasione d'incontrare
Benyamin Somay per porgli alcune domande, al fine di approfondire il suo intervento e avere qualche elemento in più sulla sua pubblicazione.
Benyamin Somay, lei proviene dal Kurdiastan iraniano: cosa l'ha spinta a fuggire dal suo Paese, l'Iran?"Io sono nato 31 anni fa nel Kurdistan iraniano, in un piccolo villaggio. Purtroppo, all'età di 22 anni sono dovuto scappare dal mio Paese, perché un mio amico era stato arrestato. Una mattina di buon'ora, mentre svolgevo il mio lavoro in un forno, sono dovuto fuggire. Non ho capito effettivamente cosa avessi fatto di male: sostenevo la causa curda, ma non svolgevo alcun ruolo insieme ai partigiani curdi, che da tempo pongono la loro vita a rischio e, molto spesso, muoiono nelle loro dure lotte sulle montagne. Quanto mi è accaduto, per puro caso, una notte è questo: ero in campagna e ho avuto il mio primo incontro con alcuni partigiani. Un incontro speciale: era la prima volta che venivo abbracciato da un altro essere umano. Ero entrato per la prima volta in contatto con la loro realtà, ma solo per qualche ora. Mi chiesero un'informazione e poi io sono andato via con un mio amico, che in seguito è stato arrestato. Qualche giorno dopo, abbiamo portato loro qualcosa da mangiare. Altre volte ancora, abbiamo ospitato qualcuno di loro per un passaggio in macchina. Ma si trattava di fatti episodici, di cose che capitavano casualmente: non eravamo dei veri e propri partigiani. Io cercavo di dare un piccolo contributo per la causa del mio popolo - quello curdo - e la sua libertà. Ma tutto questo venne considerato illegale: un favoreggiamento delle attività partigiane. E i partigiani, in Iran, sono considerati dei sovversivi, addirittura dei terroristi, dallo Stato. Questi ragazzi vengono messi in carcere e, in alcuni casi, vengono anche uccisi. Infatti, dopo alcuni anni che ero in Italia, navigando su internet mi sono imbattuto nella triste notizia che il mio amico, quello arrestato durante la mia prima fuga, era stato ucciso in prigione. Sono ormai 8 anni che non riesco a tornare nel mio Paese: sono un rifugiato politico e mi sento fortunato, perché sono vivo. Ringrazio l'Italia, per avermi accolto e per avermi reso un libero cittadino in una democrazia. E' vero che sono lontano dalla mia famiglia e soffro tanto la lontananza dai miei cari, ma ci sono situazioni molto peggiori, in cui non si riesce neanche a fuggire, oppure, se si decide di rimanere, si va inevitabilmente incontro alla morte".
Come e da chi è stato accolto in Italia?"Dalla comunità di Gallipoli, in Puglia. Don Salvatore Leopizzi mi ha accolto da subito a braccia aperte, facendomi sperimentare una grande e autentica solidarietà. Don Salvatore, per me, è come un padre".Cosa pensa dell'attuale Governo italiano e della sua linea poco favorevole all'accoglienza e alla solidarietà?"Io ringrazio l'Italia per avermi accolto. E' vero che, in Italia, si sono create delle difficoltà dovute alla lunga crisi economica, a cui è seguita una realtà politica avversa all'immigrazione. Ma io rispondo con la mia storia. La mia storia, come tante altre, se utilizzate nel modo corretto possono servire, in Italia e nel mondo, a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle condizioni di molti Paesi in cui manca tutto. Non solo il lavoro, ma anche la pace e la libertà. Cose importantissime, che quando si hanno, molto spesso si danno per scontante. Io sono per la pace e per il benessere del mondo intero. Se tutte le risorse mondiali, invece di essere impiegate non in maniera ugualitaria e spesso investite nelle guerre e negli armamenti, fossero distribuite e utilizzate per ciò di cui si ha veramente bisogno, non esisterebbe più la povertà. E anche la stessa immigrazione decadrebbe, visto che ci sarebbe uno sviluppo nei singoli Paesi, oggi bisognosi".
La ricercatrice Sevgi Dogan ha attualizzato la concezione kantiana e illuminista del cosmopolitismo come un'esigenza attualissima di questi tempi, in cui di è diffusa un'idea di chiusura verso le altre realtà in difficoltà: anche lei si sente cittadino del mondo?"Io sono curdo, ma prima di tutto sono un essere umano. Il mio Stato non è riconosciuto e, alla fine, per questioni politiche, sono stato costretto a emigrare. Ho vissuto sulla mia pelle tutto questo. E quindi, si: grazie alle mie esperienze, oggi mi sento un cittadino del mondo. Prima di tutto, credo che noi non siamo persone provenienti da qui o da li, in un mondo composto di confini e barriere: prima di tutto, siamo esseri umani, appartenenti a un unico mondo".
Nella sua autobiografia viene narrata anche la storia del popolo curdo, ancora oggi privo di identità nazionale: come vive questa profonda ingiustizia?"Il popolo curdo ha fatto molta strada, fino a oggi. Purtroppo, è tutt'ora diviso, senza essere uno Stato indipendente, tra Iraq, Iran, Turchia e Siria. Io sono parte di questo popolo e ho vissuto e continuo a vivere la sua sofferenza dentro di me: non riesco a essere indifferente. Per esempio, sento vicini anche altri popoli che soffrono la fame e le guerre. L'ingiustizia in sé, per me è insopportabile, anche quando non riguarda il mio popolo".
Tutte le tematiche che lei affronta nella sua autobiografia sono molto utili alla sensibilizzazione: dove la sta portando la sua storia?"Grazie anche al supporto della casa editrice, 'La Meridiana', sono state organizzate delle presentazioni all'interno di alcune scuole. Anche a Verona, dove vivo e lavoro. Come già detto, porto dentro di me due esperienze, sia quella da migrante, sia quella di appartenente al popolo curdo. E voglio donare queste mie esperienze ai ragazzi, per sensibilizzarli rispetto a queste tematiche. Di recente, sono stato anche in Puglia, in due classi entrambe di seconda media: è stata un'esperienza straordinaria".