Liliana ManettiIl regista e attore racconta come ha costruito la trama del suo ultimo film, che sta riscuotendo grande apprezzamento in Europa e, soprattutto, negli Stati Uniti

Nella società digitale contemporanea, Giuseppe Russo ha una vita normale. Tuttavia, un giorno egli incontra uno strano vagabondo che gli consegna dei vecchi nastri in formato video, in cui il protagonista risulta controllato e filmato sin dall'infanzia. Questo lo 'spunto' di partenza che Fabio Del Greco ha utilizzato per dar vita al suo ultimo lungometraggio, 'Mistero di un impiegato', nel quale vengono affrontati temi molto attuali e interessanti, come la strisciante volontà di condizionare il sentire comune delle persone attraverso i social, gli algoritmi e le tecnologie invasive, che controllano a distanza la nostra realtà quotidiana, riducendo molto lo spazio privato del singolo individuo e il suo 'diritto all'oblio'. Una sceneggiatura complessa e stratificata, in cui la tecnica di recuperare vecchi filmini di famiglia in 'Super 8' ha richiamato alla mente il cinema sperimentale degli anni '70 del secolo scorso, non solo per la qualità 'sporca' della fotografia, ma anche per la ricostruzione di ambienti inquietanti e situazioni misteriose.

Fabio Del Greco lei è un regista, sceneggiatore, montatore e produttore di cinema indipendente: come ha iniziato la sua carriera?
"In effetti, per me il cinema è da sempre la forma di espressione prediletta. Senza studiare, né avere una strategia 'a tavolino', fin dalla seconda media mi sono dilettato a costruire delle storie quasi per gioco, per divertimento. Quando ero poco più che adolescente non conoscevo neanche il montaggio. Tuttavia, iniziai proprio perché un compagno di scuola delle medie aveva trovato un'antica telecamera, di quelle con il tubo catodico collegato a un registratore Vhs, di una marca ormai dimenticata che si chiamava 'Magnedine'. Così, coinvolgendo tutti gli altri nostri amici iniziammo a fare delle riprese, a riprendere delle scene, a inventare delle storie. Da quel momento in poi, non ho più smesso di cercare di raccontare storie attraverso le immagini".

Lei ha iniziato sin da ragazzo a interessarsi alla settima arte: è stato difficile portare avanti quelli che sembravano solo sogni?
"Si. Solo che non erano solo sogni: per me si trattava di realizzare una forma di comunicazione, di divertimento e di realizzazione. Non avevo ancora aspirazioni di diventare, un giorno, un personaggio famoso. Era, per me, semplicmente una forma di espressione, come per altri possono esserlo la musica, la scrittura, oppure altri tip0 di arte o di propensione personale. Con il tempo, sono riuscito a farmi comprare da mio padre una telecamera meno rudimentale e più tecnologica, continuando a realizzare, sempre con amici e parenti, delle registrazioni. Alcune di queste erano composte solo da alcune scene; altre, invece, sono diventate dei veri e propri cortometraggi che hanno partecipato, per esempio, al 'Bellaria Film Festival', in Emilia Romagna, che al tempo era diretto da Enrico Ghezzi e che, in quelle circostanze, sono piaciuti al pubblico. E anche allo stesso Enrico Ghezzi, che infatti li apprezzò molto".

Lei propone un genere cinematografico definito 'indipendente': cosa caratterizza veramente questo tipo di cinema?
"Il cinema indipendente è un tipo di cinema che si autoproduce, innanzitutto. Per le mie opere, di certo non ho scelto attori famosissimi e, quindi, mi ritrovo a essere in controtendenza, perchè normalmente in un film ci si attende delle 'star' di Hollywood e un certo tipo di 'confezionamento'. Invece a me, come a tanti altri, piacerebbe che il cinema fosse una disciplina artistica individuale, come lo sono le altre arti, perché solamente in questo modo il mondo creativo di un individuo, piano piano, può prendere forma. Mentre il cinema, oggi, è una sorta di 'ibrido' tra arte e industria cinematografica: bisogna mediare tra i due aspetti e, purtroppo, quello industriale spesso prende il sopravvento rispetto al cinema inteso come arte. Invece, l'aspetto industriale dovrebbe, secondo me, rimanere in secondo piano".

E quali sono gli altri aspetti del cinema indipendente?
"Beh, un'altra cosa che lo caratterizza può essere, per esempio, il fatto che, molto spesso, si tratta di un cinema che affronta, nelle sue trame, temi molto impegnati, come spesso avviene nei miei film. Ma questa caratteristica non è esclusivamente una 'proprietà assoluta' del cinema indipendente. Infatti, il cinema che non rientra nella categoria 'indipendente', a volte tratta dei temi molto impegnativi, mentre quello indipendente, a volte, si sofferma su tematiche più leggere".

Lei tende a dare un 'messaggio' al pubblico, attraverso i suoi film?
"Sicuramente, non posso dire che questa componente appartenga a tutto il lavoro che ho fatto da quando ero ragazzino fino ad oggi. Tuttavia, nel tempo, in effetti, si è creata una visione del mondo e, quindi, anche la voglia, da parte mia, di far riflettere su certi temi. Ogni volta, mi sforzo di dare uno sguardo imparziale e, quindi, di non dire 'questo è bene e questo è male', oppure 'questa è la mia visione del mondo a cui si deve aderire oppure no', con fare rivoluzionario, perché ognuno ha una propria visione, secondo me. E io voglio solo proporre i fatti come realtà soggettiva, anche se il mio punto di vista può essere giusto o sbagliato, visto che ognuno ragiona personalmente, con la sua testa".

Dalla sua casa di produzione è uscito, nel febbraio scorso, questo suo nuovo lungometraggio, dal titolo 'Mistero di un impiegato': quali temi ha voluto trattare questa volta?
"Si. 'Mistero di un impiegato' è uscito nelle sale nel febbraio scorso ed è praticamente il mio quinto lungometraggio, di cui ho curato anche la distribuzione. Grazie a questo, sono riuscito ottenere anche dei riscontri a livello mediatico. I precedenti sono: 'Una vita migliore', del 2007; 'Mondo Folle' del 2011; 'Io sono nulla' del 2015; e 'Altin in città' del 2017. In 'Mistero di un impiegato' tratteggio la figura del protagonista, Giuseppe Russo, come quella di un semplice impiegato con una sua fede religiosa e un suo ideale politico conservatore, il quale scopre di avere una vita molto differente e assai più complessa rispetto a quella apparentemente normale che credeva di condurre. Infatti, viene a conoscenza dell'esistenza di una videocassetta in Vhs in cui, un giorno, vede dei filmati che rappresentano alcuni momenti della sua vita. Praticamente, una società segreta, che ha alla base alcuni 'poteri forti' dello Stato, ma soprattutto della Chiesa, segue e spia i singoli cittadini sin dalla nascita, per renderli conformi alla società senza uscire dai 'binari'. Senza 'spoilerare' la trama del film, posso dire che Giuseppe Russo, a un certo punto della sua vita, si accorge di essere diventato un 'burattino' nelle mani di questa organizzazione segreta, che tira i fili del suo destino. Tutto questo lo spingerà a un conflitto interiore con se stesso e si determinerà una lotta senza esclusione di colpi, per cercare di rispondere alla domanda: 'Chi siamo noi veramente'? Tutto il film è dunque uno sforzo per dare una risposta a questa domanda, cioè quella della nostra vera identità, al di là dei ruoli. Ed è anche un invito, per chi vorrà vedere il film, a considerare quale possa essere un proprio 'Io' più profondo".

Questa lente di ingrandimento sulla vita di Giuseppe Russo ricorda molto il 'Big Brother' di George Orwell e la sua fantapolitica del controllo sociale, che è poi un tema molto attuale: lei intendeva fare una vera e propria critica alla nostra realtà sociale?
"Mah... Più che una critica, è una presa di coscienza. Il film nasce anche da questo aneddoto: un giorno, io e mia moglie, cenando, discutevamo di alcune cose che ci piaceva fare in quei giorni e abbiamo nominato alcune sagre di paese, oppure dei viaggi verso alcune destinazioni e ci siamo accorti che, dopo pochi minuti, il cellulare ha mandato uno spot per consigliarci delle proposte molto vicine ai nostri gusti. Sicuramente, la discussione intorno alla tecnologia dei nostri giorni è un tema molto caldo e attuale, particolarmente sentito negli Stati Uniti, che hanno vissuto da vicino, purtroppo, le vicende del terrorismo e, quindi, del successivo controllo e le varie operazioni di investigazione per la sicurezza che, però, hanno anche determinato la perdita di massa della privacy".

Questa sua presa di coscienza è anche una critica in difesa della libertà personale di ogni cittadino?
"La mia, ripeto, non ha voluto rappresentare una critica contestataria, ma una presa di coscienza effettiva di quello che sta accadendo. Non a caso, negli Stati Uniti, il romanzo di Orwell è ridiventato un 'best seller'. Ma è un qualcosa che, in me, nasce anche dalle mie opere precedenti. Infatti, c'è un 'fil rouge' che unisce tutti i miei film".

Una caratteristica fondamentale della sua ultima pellicola è proprio l'inserimento di alcune riprese che provengono dal suo repertorio, dove lei si è fatto riprendere in diversi momenti della sua vita: cosa voleva dire attraverso questa scelta cinematografica?
"Dal punto di vista estetico, il film ha rappresentato il protagonista filmato lungo più di 30 anni, attraverso questo materiale di mio repertorio che ho raccolto da quando ero adolescente e in cui io ero sia il regista, sia il protagonista. Inoltre, ho fatto partecipare nel film, come attori, delle persone molto vicine a me e anche molto importanti, come i miei stessi genitori. Non volevo con questo raccontare la mia vita, ma un po' la vita di noi tutti e dei nostri condizionamenti sociali, perché penso che noi tutti siamo il risultato di questi condizionamenti e non propriamente del nostro vero 'Io'. Quindi, l'aver utilizzato queste riprese, raccolte durante tutta la mia vita, è dovuto alla mia volontà di arricchire la pellicola in una maniera del tutto nuova e originale. Ci sembrava, sia a me, sia allo sceneggiatore che collabora con me, Massimiliano Perrotta, che l'inserimento di questi particolari fosse un elemento molto originale. Al contrario, io volevo evitare di essere anche l'attore protagonista, ma nel caso in cui avessi scelto un altro attore, la trama sarebbe diventata eccessivamente complicata e poco credibile. Dal punto di vista antropologico, sicuramente l'inserimento delle riprese lungo tutto l'arco della vita del protagonista aveva un senso profondo e immediato. E, proprio per questo, sono stato anche consigliato ad agire in questo modo".

Sono già in preparazione progetti futuri?
"Sì. Per quanto riguarda i miei lavori futuri ho già raccolto molto materiale per un nuovo film, del tutto diverso da 'Mistero di un impiegato'. E' un film più divertente, che si intitolerà, molto probabilmente: 'La donna dello smartphone'. Intendo portare all'estrema conseguenza questo discorso in cui viene ridotto al minimo il divario tra vita e cinema: una sorta di finto documentario sulla vita di una donna che viene dal sud per cercare lavoro. Questo avviene, però, attraverso dei video contenuti in un cellulare che raccontano tutta la sua storia e che un signore molto anziano trova per caso, poco prima che la donna si sucidi, gettandosi dal Tevere. Un'altra novità riguarda sempre 'Mistero di un impiegato', uscito da pochissimo come 'live streaming' su Amazon video e su altre piattaforme e, adesso, anche negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania e anche in Italia. Su reelhouse.org, il film si può vedere in tutto il mondo. Tantissime persone si stanno interessando molto a questo film e, devo dire, non mi aspettavo un riscontro tale, visto che l'uscita nelle sale è stata abbastanza limitata, in Italia. Questo ha molto a che fare con la democratizzazione dei mezzi cinematografici di cui parlavamo a proposito del cinema indipendente. Infatti, oggi abbiamo anche la possibilità di poter distribuire. Ciò fa si che il pubblico, se non è troppo preda del marketing, sia più libero di scegliere su più versanti, tutti molto diversi, ma altrettanto interessanti".

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