Liliana ManettiNei panni di Giada Rubin, la protagonista femminile del film 'Mistero di un impiegato', uscito di recente nelle sale cinematografiche italiane, l'attrice romagnola ha interpretato una figura di donna particolare, fragile e 'schiacciata' dalla propria 'missione': un'opera fortemente critica verso una società che si limita a contenere i singoli individui, omologandoli all'interno di un pensiero unico, illiberale e 'messianico'

Il ruolo di protagonista femminile nel nuovo film di Fabio del Greco, dal titolo 'Mistero di un impiegato', è stato interpretato dall'attrice Chiara Pavoni, nei panni di Giada Rubin: una donna a capo di un'organizzazione segreta, che presiede al controllo sociale di massa. Una donna connotata da una personalità forte e fragile allo stesso tempo, di fronte a un compito difficile da gestire, che tuttavia ricopre con amore perché si tratta di una 'mission' imposta dal padre. Abbiamo avuto la felice possibilità di incontrare Chiara Pavoni di persona, per porle alcune domande.

Chiara Pavoni, è stato difficile ricoprire il ruolo di Giada Rubin in un film 'orwelliano' come quello diretto e interpretato da Fabio del Greco?
"Stimo molto Fabio del Greco: ho collaborato con lui sia come attrice, sia come location manager e sia come produzione e organizzazione. Credo personalmente che abbia molto talento. E credo anche che tutti i talenti andrebbero aiutati, che andrebbero fatti fiorire. Purtroppo, questo non sempre succede in Italia. Il mio monito, dettato anche dalla mia esperienza personale, è quello di essere molto determinati e di non mollare mai. Fabio del Greco, oltre ad avere talento, crede molto in quello che fa e mi ha sempre offerto dei bellissimi personaggi da interpretare nei suoi film: tutti ruoli di donne che ho amato tantissimo, perché figure complesse e non personaggi stereotipati. Tutte ragazze con una complessa personalità e dalle molte sfaccettature. In particolare, Giada Rubin in 'Mistero di un impiegato' è un personaggio che ho amato molto, nonostante sia una donna totalmente diversa da me: insicura e molto controllata nel suo aspetto esteriore. Praticamente, il mio opposto. E' una donna 'schiacciata' da un compito che le è stato imposto dal padre e subisce il suo destino, anche se ha una grande passione nei confronti del ruolo che il padre le ha assegnato, come se fosse quasi un dono mistico. Io amo moltissimo tutti i personaggi che interpreto con molta passione, perché credo che solo così si possa trasmettere qualcosa al pubblico che guarda un film o uno spettacolo. E amando così fortemente i miei personaggi riesco anche a interpretarli al meglio, senza trovare troppe difficoltà".

E' riuscita subito a immedesimarsi in questa donna forte eppure fragilissima, che fa parte di questa organizzazione a sfondo religioso del tutto simile a un 'Big Brother'?
"Immedesimarmi è una cosa che mi viene naturale, visto che, come dicevo, amo molto i miei personaggi. Quindi, è un qualcosa di immediato per me. In secondo luogo, il modo di lavorare di Fabio del Greco aiuta, perché ti fa avvicinare al personaggio con gentilezza e con particolari che si scoprono man mano, risultando un percorso semplice e appassionante".

Il suo ruolo nel film è ben definito e, a volte, sembra addirittura non costruito per il modo di parlare lento, attento, lo sguardo profondo che la contraddistingue: è stato automatico avere queste risposte psicologiche nell'interpretazione, entrando in una realtà distorta da una manipolazione da parte di poteri superiori?
"Sicuramente, lavorare all'interno del set interpretando Giada è stata una grande emozione. Ma entrare in un progetto come questo, che rimanda a un tema molto vicino al nostro contesto attuale, quello della manipolazione da parte di poteri superiori che sfuggono al nostro controllo, anche se portato all'estremo nel film, è stato comprendere sempre più quanto noi semplici cittadini siamo in una condizione di completa fragilità. Inoltre, c'è stata l'emozione artistica: sicuramente, da parte mia, c'è stata una grande partecipazione emotiva".

Sappiamo che lei non è alla prima collaborazione con Fabio del Greco: in quale dei personaggi che ha interpretato si è trovata più a suo agio e che ha amato di più?
"Sono grata a Fabio del Greco per tutti i ruoli che mi ha affidato. Così come sono grata a tutti i registi che mi hanno dato la possibilità di interpretare ruoli sempre interessantissimi, che mi hanno fatto crescere molto, professionalmente parlando. In particolare, Fabio del Greco per me ha creato dei ruoli di grande sensibilità. Voglio ricordare Marina nel film 'Una vita migliore' (Monitore film 2007): un personaggio dolcissimo nella sua ingenuità e freschezza. E poi quello di Chiara, la protagonista di 'Mondo folle' (Monitore film 2012), in cui Fabio ha voluto il mio lato più romagnolo, più solare, idealista, generoso, un bellissimo personaggio che si immola per un ideale. A differenza di Marina, Chiara aveva la possibilità di governare la sua vita, ma si mette in un gioco più grande di lei. Poi c'è, naturalmente, Mara Demond che è un altro personaggio importantissimo di 'Altin in città' (Monitore film 2017): un personaggio simile a quello di Giada Rubin, in quanto manipolatrice, anche se più giocosa e con meno scrupoli, però più cialtrona e, sicuramente, meno misteriosa".

Lei non è solo un'attrice di cinema, ma anche di teatro, nonché modella e ballerina. Un'artista versatile, insomma: in quale di questi ambiti così diversi realizza meglio la sua personalità? Dove si sente più realizzata?
"Tutte e tre le modalità artistiche in cui mi sono specializzata, anche se così diverse tra loro, sono tutte forme differenti di gioco. Recitare è una cosa che possiede, in me, delle radici molto profonde: sin da bambina inventavo i miei personaggi, giocando con le Barbie e creando delle storie. Il cinema per me è stata una realizzazione bellissima, sicuramente. Ma anche il teatro, allo stesso modo, è un mondo meraviglioso, perché c'è il contatto con il pubblico. Anche se si recita per un solo spettatore, l'emozione che si dà e che si riceve è inestimabile. E ogni spettacolo, ogni sera è un qualcosa di diverso. Come, per esempio, in 'Tragicamente Rosso': una rappresentazione che tocca il tema, purtroppo attualissimo e delicato, della violenza sulle donne, ideato dalla drammaturga, poetessa, scrittrice e giornalista Michela Zanarella. Una piéce che ho interpretato per anni, anche in luoghi diversi l'uno dall'altro. Ebbene, grazie a 'Tragicamente Rosso' ho capito quanto uno spettacolo cambia perché cambia il flusso che si crea tra spettatore e attore: un'energia che crea sempre una relazione diversa. Adoro tantissimo anche la danza, perché è il linguaggio del corpo. E l'attore, prima di tutto, voglio sottolinearlo, è corpo, poi viene battuta. L'attore, innanzitutto, si cala in un altro corpo, in un'altra anima, che s'incarna in un corpo. Quindi, la danza mi porta alla riscoperta di un legame con la fisicità. Quello della danza è lo stesso mezzo che si utilizza quando si posa. In particolare, il lavoro di fotomodella rende possibile un sogno comune, come quello tra regista e attore, che è molto simile a quello tra fotomodella e fotografo. Credo, comunque, sia importante fare esperienza in tutte queste arti, anche perché sono collegate tra loro e si può prendere le cose più belle che provengono da ognuna di esse".

In teatro, lei ha interpretato vari ruoli dedicati alla violenza contro le donne: perché ha deciso di accettare queste interpretazioni?
"Sì, ho interpretato dei monologhi dedicati alle donne e contro la violenza su di esse, come il già citato 'Tragicamente Rosso' di Michela Zanarella: un monologo tratto dalla omonima silloge edita da ArteMuse editrice. E anche il suo 'Mi ascolteranno le stelle. La storia di Hoda' (inedito), la quale narra un'altra triste realtà: quella delle spose bambine. In particolare, quest'ultimo testo racconta la storia di una bambina yemenita costretta a sposare un uomo più grande. Un altro monologo che si occupa della condizione femminile e che ho voluto interpretare, questa volta fa appello al grido di dolore delle donne di un altro Paese martoriato dalle guerre e dalla violenze di ogni tipo: l'Afghanistan. Si tratta di 'Shabnam: la donna che venne da lontano': un monologo tratto dal romanzo breve edito da Poetikanten Edizioni, che ha ottenuto anche il patrocinio dell'associazione Cisda di Miliano, una struttura che si occupa delle organizzazioni afghane contro la violenza delle donne e che difende i loro diritti, troppo spesso, purtroppo, negati. Una storia dedicata all'emancipazione di una giovane donna afghana alle prese con il grande amore della sua vita. Sicuramente, queste esperienze mi hanno portato, negli ultimi anni, ad avvicinarmi maggiormente a un impegno sociale profondo, accostato al mondo femminile del cosiddetto 'terzo mondo', ma anche a quello delle donne occidentali. Violenze che, purtroppo, si assomigliano molto, anche se quelle sulle donne del terzo mondo sembrano più eclatanti. In ogni caso, mi piace trattare delle problematiche relative alle donne, nel tentativo di sensibilizzare la società e le donne stesse, che devono sempre più prendere coscienza della loro forza".


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