E anche quest'anno, il
festival di Sanremo è definitivamente
trascorso. Ma a dispetto dei
dati di ascolto, i più alti di sempre, quest'ultima edizione ci ha lasciato piuttosto
perplessi, in linea con le forti contestazioni espresse dal pubblico del
teatro Ariston presente in sala nelle fasi finali della manifestazione. Non è stata la peggiore kermesse di sempre. Tuttavia, forte in noi è rimasta l'impressione di un Paese ostinatamente intenzionato a immergersi in una sorta di strano
'limbo pop', finalizzato a rinchiudersi all'interno di un
recinto isolazionista e
provinciale. Innanzitutto, la volontà di proporre una
rassegna 'tutta italiana' ha denuciato un complesso d'inferiorità verso tutto ciò che è
internazionale o
d'importazione. Attenzione, però: risulta
fondata anche la
convinzione opposta. Ovvero, quella che ritiene la società italiana eccessivamente
'prona' a tutto ciò che proviene dall'estero, senza distinguere le produzioni musicali di qualità rispetto a quelle più propriamente di consumo. Tuttavia, questo volersi rinchiudere in se stessi ci sembra un atteggiamento esagerato. Siamo di fronte a un evidente
malessere della società italiana, che possiede una natura soprattutto
psicologica, non
ideologico-politica. Paradossalmente, se vi fosse un disegno preciso di ritorno al
tradizionalismo, avremmo a che fare con una visione dotata di una
scala di valori ben precisa, benché criticabile in quanto
antiquata. Pertanto, ciò che preoccupa veramente è il fenomeno contrario: una precisa sensazione di
disorientamento, denunciata soprattutto dagli artisti più
giovani, i quali hanno voluto segnalare la loro condizione di
vuoto valoriale: un problema che li induce a mescolare in un unico
'calderone' cose diversissime tra loro. Irrazionalismi umorali, insomma, accompagnati da sogni e bisogni distinti. Probabilmente, non ha del tutto torto chi, come
Enzo Iachetti, durante i giorni del
69esimo Festival della canzone italiana ha criticato la pericolosità di tali tendenze. Ma è anche vero che questo
rifugiarsi nel 'pop' - un fenomeno che si sta imponendo anche in altri ambienti e che abbiamo registrato persino durante il recente
Roma Fringe Festival 2019 - risulta controbilanciato da fattori di
tutt'altro segno, rispetto al
banale clerico-fascismo del passato. Da una parte, brani come quello del giovane
Achille Lauro hanno avuto il merito di indicare quel
vuoto di princìpi di cui stiamo trattando. Uno
spaesamento che dovrebbe essere combattuto riscoprendo nuovi metodi, tesi ad affrontare meglio - e con strumenti più adeguati - le difficoltà delle nostre generazioni più giovani. Lo
'schematismo ribaltato' del brano
'Rolls Royce' - che non ha affatto rappresentato il semplice desiderio di possedere
un'automobile di lusso, bensì ben altro... - è rimasto occultato
dall'immagine aggressiva di questo giovane interprete e da uno sfondo di
disperazione disordinata, che non riesce a mettere insieme i vari pezzi di un
'puzzle' divenuto sociologicamente complesso, eccessivamente carico di
distrazioni e
sollecitazioni. Il brano non parla affatto di uno
'sballo' fine a se stesso o di un radicalismo autodistruttivo e nichilista, bensì ha cercato di
fotografare la sordità di un Paese separato al proprio interno da una serie di
stucchevoli 'compartimenti stagni' generazionali. Un segnale che non è un semplice sintomo del
'malanno populista', ma la vera e propria
causa di fondo della questione:
una ricerca ossessiva e forzata di forme di divertimento
'riempitive' e
forzate. Lo stesso vincitore della manifestazione,
Mahmood, con la canzone intitolata
'Soldi' ha voluto rappresentare, in forme più spontanee e dirette, quel
'gretto materialismo', privo di ogni retroterra storico-filosofico, che ormai ci attanaglia. Insomma, qualche contenuto c'era, nel festival di quest'anno: una serie di
istanze avanzate soprattutto dai più giovani. Come nel brano dello stesso
Motta, dal titolo
'Dov'è l'Italia', non a caso classificatosi anch'egli nella parte alta della classifica finale, che ha trattato il tema di un Paese ricaduto in una delle sue
cicliche crisi d'identità. Un Paese che non riesce a rintracciare i suoi
valori di fondo, poiché perdutosi tra le
spire labirintiche e
dilatorie della propria
superficialità. Un Paese di
sonnambuli, alla disperata ricerca di se stessi.
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)