Quel che sconcerta dell'attuale situazione politica italiana è notare come alcune posizioni politiche, in particolar modo quelle di
Alessandro Di Battista, ottengano una visibilità mediatica praticamente assoluta, come se costui fosse portatore di una serie di
'scoop' dell'ultima ora, o dell'ultimo minuto. In realtà, siamo di fronte a una sorta di
'strana rivincita' del vecchio
Partito comunista italiano, o qualcosa di simile. Prendiamo l'attuale
questione venezuelana: le prese di posizione di questo
'ragazzotto' sono sostanzialmente riuscite a immobilizzare il
Governo italiano, il quale ha dovuto assumere una posizione
ambigua, che per l'ennesima volta ha isolato politicamente
l'Italia rispetto a tutti gli altri Paesi europei e mondiali. E tutto ciò avviene dopo l'ennesima
'brutta figura' causata dallo stesso
Di Battista con la sua
'boutade' relativa al
Franco Cfa, rivelatasi ben presto una
'bolla di sapone'. L'attuale presidente del
Venezuela, Nicolàs Maduro, potrà anche risultare più simpatico del liberale
Jose Guaidò, sostenuto dagli
Stati Uniti di
Donald Trump. Ma la verità è che
Alessandro Di Battista della
questione venezuelana conosce pochissimo. E più in generale, le sue posizioni in politica estera risultano
viziate da un antico, antichissimo,
pregiudizio 'antiamericano' che persino noi, che certamente non amiamo l'attuale presidente degli
Usa, riteniamo
eccessivo. Il
Venezuela aveva le carte in regola per diventare una sorta di
Svizzera dell'America Latina, poiché posizionato esattamente al di sopra del più vasto giacimento petrolifero dell'intero continente americano. Ma proprio l'immensa ricchezza del suo sottosuolo, in particolar modo del suo
'mare territoriale', ha finito col diventare la causa stessa del suo impoverimento, a favore del quale in molti hanno apportato il proprio
malefico contributo, poiché pervasi unicamente da avide logiche di
sfruttamento. Il problema, invece, dovrebbe essere inquadrato sotto un'ottica totalmente diversa: le elezioni del
20 maggio 2018, che hanno portato
Nicolàs Maduro alla guida di questo Paese sudamericano sino al
2025, non possono essere considerate
legittime sotto il profilo della libertà popolare e della democrazia, sia per l'altissimo tasso di
astensionismo (più del
50% della popolazione venezuelana non è andata a votare), sia per le pesanti pressioni che molti cittadini hanno subìto affinché accordassero il loro consenso al successore (per decreto,
ndr) di
Hugo Chàvez. Risulta perciò evidente, la necessità di una verifica della
legittimità democratica della sua elezione, attraverso un nuovo confronto aperto a tutte le forze politiche presenti in quel Paese. In realtà, dopo la recente vittoria di
Jair Bolsonaro in
Brasile, si teme uno spostamento
verso destra dell'intera
America Latina. E si sospetta che dietro a tutta quest'operazione vi sia la
'longa manus' degli
Stati Uniti e della
Cia, i quali per interi decenni hanno
strangolato l'economia venezuelana al fine di costringere
Caracas a
'svendere' il proprio petrolio a
prezzi 'stracciati'. Cosa che avviene ancora oggi a favore di
Russia e
Cina e che spiega perfettamente le recentissime posizioni assunte dal
Governo di Mosca presso il
Consiglio di sicurezza delle
Nazioni Unite. Ebbene, tutto questo non basta a giustificare il fatto che la vittoria di
Maduro dello scorso anno abbia rappresentato, agli occhi della comunità internazionale, una
forzatura, poiché egli ha imposto la propria rielezione emarginando le opposizioni, letteralmente tolte di mezzo con metodi discutibili, se non intimidatori. Così facendo, l'attuale presidente del
Venezuela ha
'seminato' un
'vento' che rischia di trasformarsi in una
tempesta. L'errore, insomma, è sempre il medesimo: anziché pensare al futuro del proprio Paese, i politici di questa precisa fase storica, di destra o di sinistra che siano, pensano principalmente
a se stessi e alla prosecuzione della propria carriera politica individuale. La posizione di
Maduro, inoltre, non è affatto
socialdemocratica, ma
'bolivarista', ispirata cioè a un
socialismo partecipativo imperniato sulla
democrazia diretta - come nel caso del
Movimento 5 stelle - destinato al fallimento economico prima ancora che politico, perché quando i
'soldini' finiscono non è più possibile continuare a fare le
'anime belle'. La
questione venezuelana ripropone la classica vicenda di un Paese sudamericano che si ritrova in una situazione di
drammatica povertà, con tassi di
delinquenza e di
corruzione interna a dir poco terrificanti. Problemi che di certo non si risolvono con le contrapposizioni
'muro contro muro', poiché si rischia di spaccare l'intero Paese, trascinandolo verso la
guerra civile. Le nazioni non vanno mai divise al proprio interno, tantomeno sulla base di
motivazioni ideologiche o
nostalgie 'guevariste', bensì debbono essere guidate verso l'uscita dal loro
'inferno'. Nessun Paese al mondo ha mai avuto
'vita facile' nell'affrancarsi dalle proprie arretratezze economiche e sociali. Non riuscire a comprendere che il
Venezuela ha indubbiamente bisogno di rimanere unito e di confrontarsi democraticamente, anche per
guardarsi bene allo 'specchio' e rendersi conto delle proprie condizioni interne, significa avere la testa completamente arrugginita da
vecchie suggestioni, le quali, ammantate da discutibili
'mistiche populiste', tendono a rimuovere ogni
accettazione consapevole del clamoroso fallimento dei
socialismi 'utopisti'. Si tratta, infatti, di modelli politici
pararivoluzionari che appartengono a un alveo culturale settecentesco,
'rousseauiano' o
giacobino che dir si voglia, in cui
l'assemblearismo popolare produce una democrazia lenta e farraginosa, connotata da uno scarso rispetto nei confronti delle
minoranze, che invece debbono essere tutelate da apposite
garanzie costituzionali. La generazione dei
Luigi Di Maio, dei
Danilo Toninelli e degli
Alessandro Di Battista proviene da un
ceto 'piccolo borghese' che non solo non ha mai compreso veramente gli
'strappi' ideologici e di contenuto più coraggiosi di
Enrico Berlinguer, ma che si è sempre rifiutata di accettarli poiché in lui si è sempre e solo apprezzato l'immagine seria e rassicurante di un leader utile per raggiungere il potere. A qualunque costo e accettando qualsiasi compromesso, anche quello più
'al ribasso'. E oggi, infatti, il compromesso che regge l'attuale
Governo Conte, imperniato attorno a uno stravagante
'contratto di Governo', è il peggiore che si potesse concepire, poiché dimostra fotograficamente l'improvvisazione politica e l'impreparazione culturale di persone che con la
democrazia liberale non hanno mai avuto nulla a che fare. Non si fa un
Governo sulla base di uno strumento di
diritto privato, perché poi la realtà ti pone immediatamente innanzi a una questione non prevista, in cui le differenze tra le forze contraenti emergono improvvisamente, paralizzando tutto e tutti. Il
Movimento 5 stelle non è un forza politica di popolo che si è ritrovata a governare il Paese, ma una
élite di
piccolo borghesi che hanno creato una vera e propria
macchina propagandistica, gettando a mare tutti gli sforzi che
l'Italia più
aperta e
progressista, pur tra le sue infinite crisi e guerre intestine, aveva cercato di produrre per raggiungere la
sponda laica e
socialdemocratica del panorama politico italiano. E non è affatto un caso, inoltre, che la medesima
'figurella' sul
Franco Cfa non l'abbia fatta solamente
Alessandro Di Battista, ma anche la stessa
Giorgia Meloni: si tratta di personaggi politicamente
improvvisati e di
basso rango, il
'peggio' che le destre e le sinistre di un tempo potessero riproporre. Si tratta di esponenti che, nella foga di cambiare
un Paese troppo a lungo
'inchiodato' attorno alla
'querelle' tra
'berlusconismo' e
'antiberlusconismo', si sono fatti avanti al fine di dimostrare di essere persone
'tutte d'un pezzo': solo
a parole, ovviamente, non certo nei
fatti. Siamo di fronte a degli
emeriti sprovveduti, reduci da una Storia e da un Paese che non esiste più e che ragionano in base a schematismi, dottrinari e politici, completamente superati. Il binario delle moderne democrazie si regge, oggi, sul confronto tra le
forze socialdemocratiche e una moderna
visione liberalpopolare: non è rimasto
'in piedi' nient'altro, dopo il crollo delle ideologie del
1989. E' esattamente questo il risultato della vittoria delle
democrazie occidentali sulle dottrine
assolutiste e
deterministe. Invece, si continua a
rimuovere la questione, che non è nient'altro che quella di doversi mettere l'anima in pace in merito alla vittoria dei
socialismi riformisti e della
laicità liberaldemocratica. Una
'partita' vinta dai
nostri padri e non certo dai
loro.