"Non si può parlare di maltrattamenti in famiglia se un uomo picchia la moglie ogni tanto". Questa la tesi dell'avvocato
Vincenzo Coluccio, legale difensore di un uomo di
41 anni, disoccupato, finito a processo dopo che la moglie lo aveva denunciato per le molteplici aggressioni fisiche, fatte di calci, pugni, schiaffi, oggetti lanciati e ingiurie.
"Nessuna corte al mondo, o quantomeno in un Paese evoluto, figuriamoci se poi parliamo di un 'civilissimo' tribunale del nord potrà mai accogliere una tesi di questo genere. Anzi, il difensore che usi questa come strategia difensiva andrebbe come minimo segnalato al suo Ordine", penserete voi. E invece no: vi sbagliate di grosso. Perché questa
oscenità è stata accolta ed è diventata parte della sentenza della
Quinta sezione penale del
Tribunale di Torino, che nei giorni scorsi ha accolto l'argomentazione di questo
'novello Cicerone' avverso a una donna maltrattata. Donna che - così come il suo avvocato - era pressoché certa di aver vinto la causa. Ma a darle torto, o per meglio dire, un'ennesima
'botta' dopo quelle già percepite (che evidentemente, per la Corte, non erano sufficienti, tanto da non integrare gli estremi della condanna) è arrivata infatti la
sentenza del giudice, che ha argomentato e stabilito come quegli atteggiamenti da lei subiti fossero
"episodici" e in
"contesti particolari", non in grado di
"causare nella vittima uno stato di prostrazione fisica e morale". Non paga, la
Corte ha anche voluto evidenziare l'assenza di
"atti di vessazione continui, tali da cagionare un disagio incompatibile con le normali condizioni di vita", così come si legge nel dispositivo di sentenza. I
pilastri portanti della difesa poggiavano, infatti, sull'assenza di collegamenti tra i
referti medici prodotti dall'accusa e le liti e le aggressioni che sarebbero state patite dalla donna. E così, l'uomo è stato
assolto, nonostante la moglie sia finita in
ospedale nove volte nel corso degli ultimi otto anni, spesso e volentieri con
fratture, in particolar modo a naso e costole. Questo perché, sempre secondo il tribunale, la vittima non sarebbe riuscita a motivare e a circostanziare gli episodi. Ma noi siamo in un
Paese civile, signori. Ma che dico? Siamo la
culla del
diritto. Inoltre, in una città come
Torino, si sa, di certe cose è meglio non parlare,
"che non sta bene". E infatti, su questa sentenza, è già calato il
silenzio. E poi il problema, in
Italia, sarebbe quello di dire:
"Avvocata", "sindaca" e
"dottora"? Ma per cortesia...
Giurista d'impresa
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A.D.R. & Conflict Managementwww.morelloconsulting.it