In merito alla dolorosa morte di
Antonio Megalizzi, l'aspirante pubblicista assassinato nei giorni scorsi nell'ennesimo, terribile, massacro terroristico di
Strasburgo, abbiamo letto sui
social network frasi a dir poco indecorose. Quasi che una parte di questo Paese voglia porsi a
giudice, circa il
grado di 'italianità' che ogni singolo cittadino intenda incarnare. Un ruolo che, di certo, non spetta, né può essere reclamato, da nessuno, poiché inerente alla
libertà di espressione del singolo individuo.
Non tutte le opinioni sono lecite. Nemmeno in una
democrazia liberale. Arrivare a denunciare un eccesso di
retorica collettiva
"per la morte di un giornalista, che lavorava in una web radio finanziata dalla Ue", significa solamente dimostrare
un'ignoranza becera, che ha come proprio presupposto d'origine un
odio distruttivo e
nichilista verso altri cittadini, colpevoli di non volersi omologare a un modo unico, trascendente e assoluto, di vedere il mondo o di giudicare gli andamenti della
'cosa pubblica'. Innanzitutto,
Antonio Megalizzi non era personalmente
finanziato dalla Ue, ma semplicemente retribuito per i suoi servizi di approfondimento giornalistico: il compito di
Antonio non era certamente quello di reperire risorse economiche a sostegno della struttura presso cui collaborava. In secondo luogo, i responsabili editoriali della
web radio in questione, per accedere ai
fondi europei messi a disposizione in favore di alcune piccole
'start up' giovanili, hanno dovuto partecipare a un
bando di concorso in cui erano severamente richiesti una serie di
requisiti piuttosto
'stringenti'. Noi
laici non siamo posizionati su una frontiera di
contrapposizione netta verso un tipo di
cultura politica anziché
un'altra. Tuttavia, avvertiamo una sensazione di scadimento costante del
tasso di democrazia nell'attuale dibattito politico in corso. Soprattutto, tra quelle forze di
destra sovranista in cui non si avverte minimamente la questione di un
approccio meno pregiudiziale nell'analizzare fatti, accadimenti e problemi, al fine di abbandonare una datata metodologia di ricerca continua di
nemici da
individuare e
colpevolizzare. Quali
colpe possa aver avuto un ragazzo che voleva semplicemente diventare un
giornalista, proprio non si riesce a
comprenderlo. In molti criticano, di recente, un certo atteggiamento di
attesa da parte di alcune forze politiche, attualmente
all'opposizione. Ma non si tratta di una
scelta strategica, che si richiama a una qualche filosofia orientale
'neo-buddhista' o
'confuciana' che dir si voglia. Semplicemente, si sta attendendo che alcune forze del nostro panorama politico attuale giungano, finalmente, a
vergognarsi di se stesse e della propria
mancanza di umanità. In politica, la
faziosità della singola forza politica dev'essere
calcolata e
messa in conto, ma
slealtà e
bassezza morale non appartengono a nessuna forma di
partigianeria. Esse, al contrario,
avvelenano il dibattito collettivo, immettendo in circolazione i
germi più escrementizi di
un'invidia sociale ridicola e
mediocre, che si richiama a forme
violente e
calunnatorie che appartengono unicamente alle
apologie del crimine. Noi siamo per lo
sdoganamento definitivo di alcune posizioni di
retroguardia, nel tentativo di assicurare, anche e soprattutto sotto il profilo dell'informazione, la possibilità che abbiano voce anche quelle forze politiche che, in genere,
non l'hanno, o che, per lungo tempo,
non l'hanno avuta. Ma alcuni atteggiamenti, purtroppo,
non ci aiutano affatto, in questo nostro tentativo. La libertà di espressione è tenuta ad assicurare anche l'esistenza della
contraddizione, in quanto
elemento umano. Ma non tutte le
contraddizioni sono degne di essere
accettate, poiché anche la
democrazia prevede dei
limiti, verso
se stessa e verso gli
altri. A
Strasburgo è stato ucciso un
giovane italiano che nulla aveva fatto di male. E se anche il
giovane Megalizzi si riteneva un
europeista convinto, certamente egli non era
meno italiano di altri. Contraddizioni così
'basse' non possono prevedere la
scusante dell'ignoranza, poiché in realtà si dimostra di conoscere bene e di utilizzare, benché
malevolmente, il
nesso liberale della distinzione, andando a
dividere alcuni italiani rispetto ad
altri. E ciò non è solamente un qualcosa di
stridente, ma fa riferimento a un
vecchio detrito ideologico che proviene, a sua volta, da forme di
repressione patologica, le quali possono generare unicamente
regressione e
degenerazione, oltre a rivelarsi totalmente inutili al dibattito. Tali forme di
illiberalità si richiamano a un passato che dev'essere abbandonato con
maggior convinzione, rielaborando tesi e dottrine all'interno di una visione che possieda una propria
'spina dorsale' di
contenimento culturale, nazionalista o
'gentiliana' essa sia. Una
destra che chiede
ordine e
legalità può senz'altro ottenere
piena cittadinanza democratica, all'alba dell'anno di grazia
2019. L'irrazionalismo reazionario e manicheo, invece,
no. A meno che non s'intenda puntare unicamente ad
aggiungere nuovo disordine al
disordine. Ma, allora, non siamo più di fronte a una
nuova cultura di destra, bensì al
qualunquismo più
becero e
incoerente, persino di fronte a se stessi. Noi
laici ci dichiariamo pronti ad accettare confronti e dibattiti e, persino, a fornire
contributi culturalmente utili e
costruttivi alla formazione di questo nuovo processo di pacificazione collettiva.
Rigettiamo, tuttavia, ogni
processo d'inculturazione che possa prevedere l'utilizzo di
falsità astratte o
menzogne poco serie, poiché ciò finisce solamente col sospingere l'intero Paese verso il disastro. E di doverci dimostrare
più italiani di tanti
'sedicenti italiani', non ci teniamo punto: siatene certi.