Alla luce delle decisioni prese negli ultimi anni dal presidente americano,
Donald Trump, il riconoscimento di
Gerusalemme come capitale di
Israele rappresenta, per le ragioni israeliane, un'importante svolta per tutto l'est palestinese. Condividere posizioni strategiche, quali quelle
'gettate' nel panorama internazionale dal presidente degli
Usa, non aggiungono altro che un maggior riconoscimento per un cambiamento di rotta verso una soluzione e un
"incontro interstatuale". La politica di
Netanyahu, a distanza ormai di alcuni anni dalla vittoria delle elezioni nel
2015, pare oggi, nelle sue intenzioni lontanissime, assai distante dall'idealizzare il riconoscimento dello
Stato palestinese. E' infatti possibile, oggi, ricordare il
sionismo nelle sue grandi linee generali, non scostandosi dal considerare le forme del nazionalismo come delle misure di fatto idonee a prestare un elemento di riflessione verso quelle che possono essere considerate come caratteristiche eterogenee di un'unica cultura. Fondamentalmente, non si tratta di un'analisi che cosparge un'idea di delimitazione nei confini etici, in cui la religione
ebraica incontra quella
islamica e
musulmana. L'intrinsecità nel concetto di popolo, così come quello d'idioma, riporta al concetto di
'ebreo' nel senso e nell'accezione di categoria distintiva, poiché
laica, all'interno della
civiltà europea, scevra dei passati, oscuri e atroci, dei fondamentalismi di natura religiosa, contrari e perduranti a tutte le ragioni d'incontro e di unità. Le stesse tradizioni e la costante valorizzazione in una pacifica convivenza sono gli aspetti portanti per la prospettiva di condivisione con gli
arabi palestinesi di uno
Stato ebraico. Quindi, la critica oggi proponibile, alla luce delle conseguenze della decisione presa, qualche anno fa, sulla
"rappresentanza diplomatica" rende alla
Storia ebraica alto e insigne riconoscimento verso un orientato incontro per la costruzione di uno
Stato territoriale comune. E' proprio dal riconoscimento delle basi comuni e dalle origini identitarie, dunque anche linguistiche e religiose, che si possono muovere le prime considerazioni per la costruzione di un sentimento orientato a una
visione globale delle aree destinate a un interscambio, per cui non esclusivamente di natura culturale. Porre lo
Stato di Israele all'interno delle
'macroaree d'interesse', oggi è sicuramente uno dei primi obiettivi portanti per un futuro immaginato verso lo sviluppo di un
territorio comune, orientato allo sviluppo e al dialogo fuori dalle aree territoriali. E' proprio in tale prospetto evolutivo di riconoscimento, che lo stesso sviluppo delle infrastrutture
'per' e
'nello' Stato ebraico costituiranno, anche per la
Cina, un essenziale elemento di collegamento per il potenziamento dei traffici marittimi.
Pechino, infatti, considera e ingloba, ormai da qualche anno, la partecipazione dello
Stato di Israele all'interno delle nuove rotte di collegamento nel progetto della
"Nuova via della seta". La
Repubblica popolare Cinese sta cercando, in
Israele, non solo innovazione, ma di comprendere come sia possibile che un Paese di soli
otto milioni di abitanti dimostri una capacità tecnologica estremamente avanzata, che si basa su una osmosi estremamente efficiente tra
università e
mondo degli affari. Il settore dell'innovazione israeliano è legato a doppio filo a
sicurezza e
difesa, funzionale sia sullo scacchiere geopolitico, sia all'occupazione dei
Territori palestinesi. Per far questo, il Governo di
Tel Aviv ha stanziato una gran quantità di fondi pubblici, capace di garantire una forte crescita del
Pil, a dimostrazione di come le politiche
nazionaliste possano funzionare in determinati contesti geopolitici, nonostante - o forse soprattutto - la sua perenne condizione di
conflittualità nei
territori palestinesi. Il
tasso di industrializzazione israeliano di questi ultimi anni ha colpito molto il
'Partito-Stato' ancora oggi alla guida dell'immensa
Repubblica popolare cinese. Il cui scopo è divenuto quello di rafforzare la propria collaborazione con
Israele, proprio mentre s'inasprisce la sua guerra commerciale con gli
Stati Uniti. Per la
Cina, insomma, è divenuto fondamentale rafforzare la cooperazione, soprattutto in ambito tecnologico, con altri partner. Anche a costo di concedere al governo israeliano di
Tel Aviv un inedito ruolo di mediazione con
Washington.