Il
sovranismo non riuscirà a vincere la propria battaglia politica. Esso, infatti, è un fenomeno che tende a
indebolire, attraverso l'utilizzo mediatico della
rabbia e
dell'odio ideologico, sia le distinte società interne dei singoli Stati membri
dell'Ue, sia la costruzione stessa di
un'Unione europea nuova e diversa, basata su una concezione paritaria e più democratica dei rapporti tra i vari popoli europei. In pratica, la
reazione sovranista che stiamo vivendo in questi anni non è un nuovo tipo di
politica, bensì è
'anti-politica'. Ma questo genere di
'revanchismi' di solito riescono solamente a costituire delle
forti minoranze, non delle
maggioranze dotate di una visione organica e complessiva. In secondo luogo, la crisi economica di questi ultimi anni e la centralizzazione dei capitali non hanno eliminato il
ceto medio, come si va
'blaterando' disordinatamente nel commentare quanto sta accadenndo in
Francia con la protesta dei
'gilet gialli'. Più semplicemente, la
concentrazione del capitale globalizzato ha favorito una sorta di
guerra psicologica che è riuscita a riempire i cittadini di
psicosi assurde e
astratte paranoie, al fine di schiacciare tutti quanti sul medesimo fronte dei
lavoratori salariati e dei
disoccupati. Il sovranismo è sostanzialmente basato su una capillare
campagna di falsità e di
paure, prodotte dal trasferimento agli organismi europei della nostra
sovranità economica sul
bilancio pubblico e sulla
valuta. Siamo cioè di fronte alla mancata comprensione di questi avvenuti cambiamenti, accompagnata da una sostanziale
sottovalutazione dei sentimenti più passionali e irrazionali della popolazione. Sottovalutazione la quale, a sua volta, ha prodotto
l'abbandono dei settori popolari e delle classi meno abbienti,
'regalando' un intero
'pezzo' della società alla
Lega di
Matteo Salvini. Il quale, di fatto, sta provando a mettere insieme
classe operaia, artigiani, lavoratori autonomi, popolo delle partite Iva, piccola e media impresa. Quel che preoccupa principalmente, in questa fase immediatamente pre-elettorale, è
l'attardarsi della destra cattolico-liberale attorno alla figura di
Silvio Berlusconi, ormai giunta, per motivazioni semplicemente anagrafiche, al termine del proprio ciclo politico. Invece, sarebbe buona cosa che una
sana destra liberale tornasse a svolgere il proprio ruolo di mediazione proprio sul
fronte centrista e
moderato, poiché in caso contrario, la
Lega rischia decisamente di ritrovarsi a
'cavalcare' un'onda di successi elettorali assai più lunga di quella che essa stessa, sino a pochi anni fa, poteva prevedere. Il lavoro su cui
Partito democratico e
Forza Italia dovrebbero, a questo punto, cercare di concentrarsi, è quello di riuscire a impedire che il sovranismo populista riesca a raggiungere anche
'pezzi' importanti del nostro capitalismo nazionale (banche e grandi imprese), che sul mercato interno hanno sofferto le politiche di austerity
dell'Unione europea. Se la
Lega di
Matteo Salvini riuscirà a penetrare anche in questi ambienti, il
'carroccio' potrebbe veramente
'fare bingo' e vincere definitivamente la
'partita'. Non basta il pur convincente
Boccia e l'intera
Confindustria a difendere il buon senso delle politiche
'keynesiane' degli investimenti strutturali o di moderazione
'weberiana'. Bisogna, invece, rassicurare anche quel
'blocco' del nostro capitalismo nazionale, composto da quelle imprese e da quelle banche che si sono ritrovate penalizzate dalla
concorrenza francese e
tedesca e dalla loro invadenza negli
'asset' di molte aziende italiane. Oltre a ciò, risulta altresì necessario individuare la vera
'base di classe' della
Lega, distinguendola dalla sua cosiddetta
'base di massa', impedendo a
Matteo Salvini di riuscire a costruire un
'blocco unico' tra piccola e media borghesia e strati importanti dei ceti popolari e del lavoro salariato. Occorre, insomma, far comprendere agli italiani che
il sovranismo non è vera politica, ma un
rifiuto della politica, al fine di neutralizzarne la possibile funzione reazionaria. La vera logica di fondo di questa complessa fase politica non dev'essere più quella di un
mero arroccamento difensivo, bensì di tentare
un'interlocuzione, sociale e politica, con tutti quei settori con i quali sia possibile ristabilire rapporti di fiducia e di tutela, entrando nel vivo di molte questioni e tornando a declinare il linguaggio della
democrazia popolare rispetto alla paura del cosiddetto
'vincolo esterno'. Tutto questo richiede una maggiore
capacità di lettura della società italiana, una
visione economica organica e la volontà di porre nuove basi per la ricomposizione di un
nuovo blocco sociale di alternativa al sovranismo, basato cioè sulla rielaborazione delle alleanze tra grande capitale, mondo del lavoro e settori subalterni. Bisogna far comprendere a tutti, che una maggior integrazione politica con
l'Unione europea non corrisponde in automatico a una
compressione della democrazia, dei salari e della
spesa pubblica, ma a un nuovo modo d'intendere i rapporti economici imperniati su una
valuta robusta, in grado di realizzare una
maggior equità sociale. Il ritorno a una
moneta debole e
svalutabile significa genuflettersi definitivamente di fronte al
'paternalismo finanziario' dei
pochi ricchi rispetto ai
molti poveri. Una politica che, tra l'altro, oggi non protrebbe nemmeno prevedere
'bande di oscillazione' o di
svalutazione concordata, bensì la semplice condanna dell'Italia a nuove forme di
servitù economica e
finanziaria. Gli italiani debbono comprendere che le grandi battaglie vanno fatte all'interno delle grandi forze politiche europee, quella
socialista, quella
popolare e quella
liberale, non al di fuori. Altrimenti, ci si ritrova abbandonati innanzi a quello stesso
egoismo nazionalista che le nostre
forze sovraniste hanno ingenuamente teorizzato in questi anni.