Per le ragioni che chiariamo nei testi del volume
“Democrazia e Libetà, riflessioni laiche”, edito dalla casa editrice Rubbettino, abbiamo lanciato
un appello alle donne ed agli uomini di quella che un tempo si definiva
area laica e socialista, così come a quelle formazioni politiche e a quei partiti che a quel filone fanno diretto riferimento. Ma non solo:
un appello anche a tutti gli italiani responsabili e consapevoli delle difficoltà che gravano sul Paese. Un appello a cosa? Lo scriviamo qui appresso: a partire da quell’appello,
pubblicato il 7 luglio 2004, si è aperto
un dibattito, parte del quale ha trovato spazio nelle pagine de
“L’opinione”, e che qui riproduciamo nell’ordine cronologico. Gli interventi si sono
protratti per tutta l’estate e, quindi, in un certo senso, questo libro venne chiuso in tipografia quando ancora non si era finito di scriverlo. Il che induce ad una duplice riflessione. Da una parte abbiamo voluto forzare i tempi per fare di queste pagine
uno strumento di dibattito politico, cercando di superare i tentennamenti e le ritrosie di persone (come noi stessi) che alla politica si dedicano
per passione, ma non certo per professione. Dall’altra, però, i temi di fondo, che qui si trovano, hanno
origini lontane, occupano il dibattito di un secolo, e sono
il nodo irrisolto di tradizioni politiche che molto hanno dato all’Italia, ma meglio avrebbero fatto, e meglio farebbero, a
superare particolarismi e personalismi che sono il lato meno esaltante della loro storia e del loro presente. Per queste ragioni abbiamo lavorato ad un
testo più ampio, rispetto a quello del primo appello, rispondendo anche ad alcune
obiezioni che ci erano state rivolte (e che qui si trovano). Prima fra tutte:
ma perché parlare ancora di laici, non è forse roba di uno o due secoli fa? Speriamo di essere riusciti a dimostrare che
quello che speriamo non è certo il ritorno ai costumi ed alle divisioni ottocentesche. Piuttosto
preferiamo guardare al futuro. Ma su un punto, forse, le nostre preferenze ed i nostri gusti sono effettivamente retrò:
a noi la politica piace come confronto d’idee, di programmi e d’interessi. In un certo senso:
ci piace scritta e parlata, ma non urlata. Più che lanciare
un sasso nello stagno, ci siamo proprio buttati, nello stagno. La cosa che c’interessa di più non è galleggiare, ma
rompere le acque stagnanti.