'Schegge mistiche' è il titolo della mostra inaugurata lo scorso sabato 20 ottobre presso la
'Galleria Pietrosanti G.d.A.' (Grafica d'autore, ndr) di
Roma. Il finissage, previsto inizialmente per il 27 corrente mese, è stato posticipato al 3 novembre. Peraltro, il vernissage a cui abbiamo preso parte ha registrato un'ottima affluenza di pubblico. Patrocinata dal
I Municipio della capitale e dal
museo della Sindone, la mostra, curata da
Silvia Mattina, segna il debutto ufficiale del fotoreporter e regista televisivo
Danilo Mauro Malatesta. Nato a
Chicago nel
1966, sin da giovane si occupa di fotografia. Tra gli anni
'80 e
'90 ha lavorato sul campo in zone di guerra, fotografando eventi di grande rilevanza storica, come la
ritirata delle truppe cubane dall'Angola (1988/1989) o la
guerra Rwanda-Burundi nel
1995. Oggi,
Malatesta lavora come regista televisivo per la
Rai, ma non ha mai abbandonato la passione per la
fotografia, specializzandosi nello sviluppo attraverso le più antiche tecniche di stampa. Il lavoro di ricerca ha condotto questo bravo fotografo alla riscoperta
dell'ambrotipìa: antico processo di realizzazione di immagini fotografiche su lastre vitree. Si tratta di un'invenzione risalente agli albori della tecnica fotografica, che prende il nome da
James Ambrose Cutting, il quale ne ha depositato il brevetto nel
1854. La lastra di vetro viene dapprima preparata con il
collodio miscelato con dei sali e quindi, prima che si asciughi, viene immersa in una soluzione di
nitrato d'argento, che rende la lastra
fotosensibile. A quel punto, si procede allo scatto fotografico. E' una tecnica molto complessa, che richiede grande perizia, in quanto consente un limitato lasso di tempo (circa sette secondi) per l'impressione della lastra, la quale dev'essere immediatamente fissata o con
cianuro di potassio, oppure col
tiosolfato di sodio. Il procedimento richiede padronanza tecnica e non concede margine di errore.
'Schegge mistiche: dalla frantumazione del credo all'inviolabilità del simbolo' è dunque un'esposizione che illustra al pubblico un'antica tecnica, lontana anni luci dalle moderne tecnologie digitali. Un viaggio nel tempo, che riconduce verso l'originale procedimento artigianale di realizzazione d'immagini fotografiche e che, dichiara l'artista, vuol essere
"una terapia contro il bombardamento digitale che stiamo vivendo". Ma qui non si tratta di mera sperimentazione tecnica. Anzi, l'antica tecnica è funzionale alla tematica trattata: l'immagine di
Cristo impressa sulla
sindone. Attraverso un processo di attualizzazione, il fotografo ha infatti ricostruito l'immagine del corpo martoriato di
Gesù impresso su lastre di vetro in
scala 1:1. Siamo di fronte a una doppia rievocazione storica: la tecnica utilizzata da
Malatesta è infatti la medesima utilizzata nel
1989 da
Secondo Pia, l'avvocato torinese che per primo fotografò il
sudario di Cristo. Il corpo di un modello abbigliato con le fattezze del
Cristo è stato impresso in lastre separate, che nell'allestimento curato da
Silvia Mattina sono poste su una superficie bianca. Emerge così un'immagine in negativo che pone in evidenza le tracce della
'passione'. Si ripropone, così, il processo di impressione del corpo di
Cristo, così come avvenuto sul velo della
sindone. L'oggetto di culto e l'icona sacra vengono così a porsi come
simbolo universale della
spiritualità di ognuno di noi. La decontestualizzazione e la frammentazione sottintendono, inoltre, una riflessione sulla natura stessa
dell'arte sacra e sulle implicazioni nel
rappresentare il divino da parte dell'uomo. Una problematica (quella della differenza tra
arte religiosa e
immagine sacra) che viene qui superata proprio tramite il
procedimento tecnico, che consente la
creazione di un'immagine tramite la
luce. Senza l'intervento diretto dell'uomo.