Al teatro
Stanze Segrete di
Roma è andata in scena, in questi giorni, una maiuscola interpretazione di
Ennio Coltorti nei panni di
Tommaso Buscetta, il grande pentito di mafia.
'Buscetta: santo o boss?' è un testo di
Vittorio Cielo, che l'attore capitolino ha voluto a tutti i costi portare sul palco, riproducendo la stanza degli interrogatori
dell'Fbi americana. Un fatto realmente accaduto, poiché si trattò dell'ultimo interrogatorio di
'Don Masino', in cui finalmente il
grande 'mediatore' tra
'cosa nostra' e i cartelli del
narco-traffico colombiano e più in generale
sud americano confessò il proprio vero ruolo durante la sua vita di
mafioso. Senza le rivelazioni di
Buscetta e il suo rapporto umano con
Giovanni Falcone, la magistratura italiana non sarebbe mai riuscita a istituire un
maxi-processo come quello che si tenne nell'aula bunker di
Palermo, a cavallo tra la fine degli anni
'80 e i primi
anni '90 del secolo scorso. Si potrebbero dire tante cose in merito a un
'passaggio' assolutamente decisivo della Storia italiana. A cominciare dal fatto che, proprio grazie alle rivelazioni di
Tommaso Buscetta, lo Stato italiano è riuscito finalmente a infliggere i colpi più duri alla
mafia: un vero e proprio
'male congenito' del nostro Paese, che sembrava invincibile. Ma oltre all'importanza storica di questo lavoro teatrale, non possiamo non sottolineare la grande interpretazione di
Ennio Coltorti: un attore che, con questo capolavoro, dimostra di aver raggiunto una completa e definitiva maturazione artistica.
Coltorti, nella grigia sala degli interrogatori ricostruita scenograficamente ponendo il pubblico
dietro a un vetro, come in un vero e proprio commissariato, si trasforma in
Tommaso Buscetta in una maniera impressionante, fin quasi a farlo tornare in vita. Il funzionario italo-americano
dell'Fbi che gli pone domande serrate è il giovane
Matteo Fasanella, bravo a dimostrare umanità e comprensione verso un interlocutore decisamente particolare, che tuttavia chiarisce con lucidità illuminante la
struttura gerarchica della mafia, la sua
influenza e i suoi
rapporti di contiguità con la
politica, i suoi immensi interessi internazionali nel traffico di
stupefacenti, sino ad arrivare al clamoroso attentato di
Capaci, che uccise il
giudice Falcone con la moglie e la sua scorta.
Giovanni Falcone, in particolare, viene descritto con affetto, come una figura fondamentale: l'unico magistrato che seppe indagare con pazienza la
mafia fin nei suoi meandri più profondi, nella sua mentalità, nel suo radicamento territoriale.
"Il territorio è tutto", dice più volte
Buscetta/Coltorti, al fine di sottolineare la funzione svolta per lunghi decenni da
'cosa nostra': quella di
uno Stato nello Stato. Una prova d'attore magnifica, quella di
Ennio Coltorti, a tratti
impressionante, che assume un valore fondamentale per un Paese immerso
nell'indifferenza nei confronti della propria memoria, che rifiuta ostinatamente di ammettere gli
aspetti più odiosi della propria Storia e della
miseria umana dalla quale proviene.