Secondo una ricerca
dell'Ocse, l'Italia sarebbe al
quarto posto su
32 Paesi per
analfabetismo funzionale. Questo significa che solo
un italiano su quattro è in grado di comprendere messaggi più articolati, o unire più frasi di un periodo, anziché comprendere una frase alla volta e solo se singola e breve. Non può non balzare all'occhio la rispondenza e la correlazione di questi dati con la
comunicazione politica degli attuali leader di governo. In particolar modo del
ministro dell'Interno, che certamente più acculturato degli altri suoi compagni di ventura e ben seguito da uno
staff che, all'evidenza dei fatti, di comunicazione ne capisce eccome, ha incentrato la campagna elettorale (dalla quale non è mai uscito) strutturandola attorno a questa caratteristica della nostra povera e analfabeta
Italia. Ecco perché slogan come
"prima gli italiani" o
"parlo da padre di famiglia" arrivano diretti a tutta la popolazione: fanno parte del vissuto quotidiano di ciascuno. Ed ecco perché a poco servono le
argomentazioni di parte avversa, per dimostrare l'insussistenza delle manovre e
'manovrine' che vengono portate avanti. Per capire l'inconsistenza di una qualsiasi cosa è necessaria una capacità di ragionamento e di analisi che, ahinoi, difetta nel nostro tessuto sociale. Uno slogan breve e semplice, che parla alla
'pancia' del Paese giunge, invece, a tutti. Se a ciò aggiungiamo la carenza di
competenze economiche della nostra cultura e nei programmi scolastici, si capisce bene come, nemmeno quando esponenti di rilievo quali il
professor Cottarelli riescano a spiegare diffusamente, per esempio, gli effetti disastrosi delle attuali riforme. Non solo
non 'passa' in modo clamoroso un messaggio di allarme, ma anzi, i dati delle eventuali proiezioni di voto restano stabili. Slogan e analfabetismo funzionale. Se vogliamo cambiare il Paese, dobbiamo (ri)partire dalla
cultura. Una cultura economica e un'economia della cultura. Nel
2017, la quota di occupati tra i
25 e i
64 anni con titolo di istruzione terziaria, in
Italia, era del
23,1%, contro il
43,2% della
Spagna, il
41% della
Francia e il
31,3% della
Germania. Se guardiamo al
2014-2017, il tasso di crescita degli occupati in professioni che richiedono alte competenze è stato del
4,7%. Hanno fatto meglio la
Francia (5,2%) e soprattutto
Spagna e
Germania (+7,4% e
+8,8%), confermando quello che si nota anche nei numeri sugli investimenti: questi due ultimi Paesi stanno transitando verso
l'economia della conoscenza in maniera più rapida di quanto non stia facendo
l'Italia. O lo capiamo, o la
'decrescita infelice' è l'unico orizzonte possibile. Ma sarà certamente meritato.
Giurista d'impresa
www.morelloconsulting.it
Mediatore Civile Professionista
cultrice di diritto civile
Presidente nazionale APM
A.D.R. & Conflict Management