Raffaella UgoliniIn tempi di riflessioni estive, veniamo a ribadire alcune condizioni che continuano a 'zavorrare' la nostra situazione economica, che rimane connotata da una ripresa lentissima, addirittura destinata a 'frenare' nel corso del 2019. La condizione principalmente negativa dell'Italia, infatti, rimane una domanda interna insufficiente, sia sul versante dei beni di consumo, sia su quello degli investimenti. E' pertanto proprio tale basso livello della spesa a mantenere inchiodate le nostre potenzialità occupazionali. Risulta evidente la necessità di una manovra autunnale in grado di rialimentare la domanda di consumo. Ma questa manovra può avere successo unicamente 'sforando', temporaneamente, i parametri di Maastricht, ovvero quel rapporto deficit/Pil fissato al 3% in base a considerazioni che riteniamo scientificamente corrette solo e unicamente nei termini di un mantenimento oculato della spesa corrente. In buona sostanza, chi ha un debito pubblico sotto controllo, come per esempio la Germania, può tranquillamente attuare politihe di auterità che mantengano il livello della spesa interna attorno a determinati parametri di equilibrio. Viceversa, per quei Paesi che sono entrati nella cosiddetta Eurozona dopo lunghi decenni di spesa pubblica fuori controllo, si ritrova nella condizione di essere impossibilitato a recuperare facilmente e in tempi brevi la propria condizione debitoria. In tal senso, riteniamo che la Ue mantenga un'impostazione macroeconomica che discrimina, all'interno dell'Unione medesima, le economie di serie 'A', rispetto a quelle di serie 'B'. Fino a quando un singolo Stato membro non si ritrova nelle condizioni di poter partecipare alla categoria superiore, esso si vede costretto a rimanere in quella inferiore, in una sorta di 'purgatorio perenne'. Noi riteniamo, invece, che l'Unione europea abbia il compito di combattere, ovviamente senza eccessi, la staticità economica di un simile 'quadro' complessivo, cercando di favorire la crescita anche negli Stati membri che possiamo considerare, senza vergogna, di 'seconda categoria'. Insomma, a nostro parere, le cosiddette 'politiche di austerità', imposte in questi ultimi decenni dalle forze che appartengono alla famiglia del Partito popolare europeo, hanno provocato, nelle economie che risultavano già svantaggiate sin dal 1991, una lunga virata deflattiva e, in pratica, una condizione complessiva di stagnazione della domanda aggregata di consumo. Affermiamo tale diagnosi senza porre minimamente in discussione l'adesione dell'Italia alla moneta unica europea: anche una valuta più debole ed eventualmente svalutabile, infatti, finirebbe col favorire soprattutto il comparto delle produzioni destinate all'export, senza far ricadere alcun esito sui nostri mercati interni, favorendo unicamente alcune categorie produttive da sempre abitutate a sostituire una domanda debole con quelle più solvibili e in buono stato di salute. In quella che possiamo ormai definire 'Eurozona di serie B', riteniamo invece necessario favorire un vero e proprio piano di investimenti, innanzitutto nella costruzione di opere di interesse collettivo, al fine di offrire ai cittadini maggiori servizi d'istruzione, mobilità e assistenza sanitaria. Ci riferiamo a un piano d'investimenti europeo, in grado di 'pungolare' l'iniziativa privata, generando nuova occupazione e una rafforzata domanda di consumi per beni e servizi, in grado di portare il Paese, già nel medio periodo, a rientrare nei parametri originari. Ciò al fine di tornare ad abbattere con maggior decisione il debito pubblico e favorire nuovi accantonamenti destinati a futuri investimenti, oppure per specifiche situazioni di emergenza (terremoti, cataclismi, rivolgimenti climatici imprevisti). Mantenedo inalterate le attuali condizioni di mercato e difendendo unicamente lo 'status quo', l'Unione europea rischia di mettere se stessa seriamente in discussione, sia per la mancanza di una visione economica articolata, sia per le proprie limitate capacità di intervento politico. Il capitalismo occidentale vive, ormai da troppo tempo, una fase di arroccamento difensivo teso a impedire ogni genere di cittadinanza economica a nuovi operatori emergenti sui mercati. Una cronica scarsità di capitali e una storica ritrosia all'autofinanziamento e al reinvestimento dei profitti - e soprattutto degli 'extraprofitti' - da troppo tempo induce a reagire all'atrofia del mercato azionario attraverso l'indebitamento e la conseguente emissione di obbligazioni, costringendo le banche ad assorbire i titoli emessi e lo Stato a sottoscrivere nuove forme di deficit. L'Unione europea deve perciò comprendere che è giunto il momento di reagire a un simile stato di cose, suggerendo, sostenendo e favorendo più coraggiosamente i singoli Stati membri a effettuare una serie di investimenti in settori di ricerca più innovativi e avanzati. In caso contrario, la questione più evidente rimane quella di un paziente, l'Eurozona, che rischia di morire 'sotto i ferri', in sala operatoria. E' ormai giunto il momento di sottoporre l'Europa a un serio intervento 'clinico-economico', in grado di risolvere i problemi: il semplice mantenimento conservatore di uno 'status quo' che conviene solo ad alcuni e non a tutti, servirà unicamente ad aggravere la patologia, anziché rimuoverla radicalmente.


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