Qualcuno di recente ha dichiarato che la
scienza sarebbe
"inferiore alla politica". Ciò non è affatto vero: la
storia delle dottrine politiche discende dalla
Storia. E la
Storia, a sua volta, fa parte della
filosofia, la quale appartiene al territorio della
scienza in quanto
"teoria della prassi". Ritenere la
politica superiore alla
cultura, alla
storia o alla
scienza è un vecchio equivoco di discendenza
autoritaria che si ripete nel tempo, soprattutto qui da noi. Tanto per citare quanto che scrisse l'autore siciliano
Elio Vittorini, rispondendo a
Palmiro Togliatti: "La politica è quella forma di cultura che, per poter agire, deve adeguarsi di continuo al livello di maturità delle masse, segnare il passo con esse, fermarsi con esse, se necessario, come accade che con esse esploda. Ma continuerà a chiamarsi cultura quell'attività che, non impegnandosi in nessuna forma di azione politica diretta, saprà andare sempre avanti sulla strada della ricerca della verità". Il fatto che certi cosiddetti
'No vax' reclamino una determinata
libertà di giudizio politico soggettivo, pretendendo di porre quest'ultima al di sopra della
scienza, deriva da una
concezione qualunquista della
libertà individuale, totalmente sganciata da ogni forma di
interesse generale, collettivo e persino
politico. Ebbene, le cose non stanno affatto così: la
libertà individuale deve sempre contemperarsi con quella
collettiva o della comunità in cui si vive e si opera, nazionale, sovranazionale e persino universale, poiché altrimenti essa finisce col corrispondere alla
liceità, cioè alla
sopraffazione selvaggia dell'uomo sugli altri uomini. Viceversa, la
libertà del singolo finisce là dove comincia quella degli
altri e, persino, dello
Stato, che dunque è legittimato a imporre, se giustificato dalla situazione, una volontà che ponga
l'interesse generale - in questo caso, la salute dell'infanzia - al di sopra della
libertà individuale. La libertà individuale è un
principio, non una
finalità. E il gioco di equilibrio tra essa e la volontà dello Stato è in continuo divenire: alcune volte prevale la
prima, altre la
seconda, come nel caso delle
vaccinazioni. Non si tratta di un
primato 'statico', da parte dello Stato, né lo può essere: su questo siamo tutti d'accordo. Ma nel
gioco dinamico degli equilibri che debbono inverarsi nel cuore del singolo cittadino, dovrebbe risultare chiaro che
il primato della libertà individuale, se estremizzato sino ai confini della
liceità, tende a far saltare pericolosamente anche la distinzione tra
pubblico e
privato trasformandosi in
autoritarismo, in assolutismo totalitario, scientifico, teologico o politico esso sia. L'obbligo alle
vaccinazioni corrisponde, dunque, a un
atto dello Stato. Un atto che ha causato un fatto. E cioè che
la salute dei nostri figli è scientificamente al di sopra della
politica stessa, in quanto
'spirito' che non intende degradare a
'cosa'. Al di fuori
dell'atto dello spirito - cioè della reale intenzione giuridica di
buon senso sia dello Stato, sia del singolo individuo -
nulla ha veramente realtà. Nell'antica
Lombardia contadina di una volta, si sarebbe detto che
l'obbligo alle vaccinazioni è un atto
"che ha un suo perché". Un modo
saggio e
popolare di affermare la motivazione di fondo
dell'atto medesimo. Eccola qui, dunque, la reale
distinzione tra
cultura popolare e
populismo: la prima mantiene un proprio grado di
saggezza, mentre il secondo degrada a
mera demagogia finalizzata alla
manipolazione delle masse. Ed è esattamente questa la
riflessione che quest'anno intendiamo proporre agli italiani, augurando loro delle
serene vacanze estive e un
felice Ferragosto 2018.