Lorenza MorelloComplici le serate calde e luminose e gli impegni meno pressanti, mi è capitato più volte, di recente, di passeggiare la sera nel centro della mia città: Torino. Un capoluogo di regione elegante, che ha subito in sé molteplici mutazioni. Torino è oggi alle prese con un problema che riguarda la nostra epoca, ma che qui pare gridare, sebbene con 'sabaudo understatement', in modo sempre più forte. E questo problema non è, di per sé, la povertà, ma potrei dire che riguarda il 'concetto' di povertà. Anni fa, la nostra società aveva più pudore in tutto e anche la miseria si autoemarginava. Ed era cosa insolita, specie in Italia, trovare gente disperata accampata in pieno centro. Non volendo prestare il fianco a facili strumentalizzazioni classiste, vorrei sgomberare subito il campo e analizzare il concetto sociale di povertà secondo le due differenti culture che mi hanno cresciuta e le cui idiosincrasie si acuiscono sempre di più con il passare degli anni: quella italiana e quella americana. L'americano, grazie soprattutto alla cultura 'smithiana' dominante, vive la povertà come una colpa causata dalla mancanza di determinazione, impegno o di abilità personali. In Italia, invece, il rapporto fra povertà e colpa è assai più sfumato, così come in quasi tutta la vecchia Europa, dove la divisione in classi, la tradizione di immobilismo sociale, la sublimazione delle spinte sovversive nella speranza di un 'paradiso ultraterreno', hanno radicato il concetto che essere poveri accade, come la sordità o una gamba storta. E che se accade, essa è un gravame di cui la struttura sociale deve farsi carico. Ne consegue che, ai nostri occhi, il povero è semmai un soggetto da cui distogliere lo sguardo, quando non ai limiti dell'invisibilità. A quelli di un americano, invece, è disprezzabile e messo all'indice di ciò che non si deve essere. Al netto di tutto questo, in entrambi i casi resta un senso di vuoto da colmare, dentro di noi e dentro gli individui che cadono in questa condizione: un innegabile problema che dovrebbe coinvolgere la civiltà tutta. A prescindere dalla "ricerca del colpevole", come diceva Ford, la cosa fondamentale è trovare un possibile rimedio. E questo potrebbe forse trovarsi nella riscoperta del senso del 'bello' (il 'kalos' greco), che è uno stato d'animo che va coltivato e che, se sapientemente cresciuto, impedisce al proprio animo e, quindi, alla propria vita, l'abbandono a se stessi.




Giurista d'impresa
www.morelloconsulting.it

Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio