Il
Partito democratico ha recentemente sottolineato, in una missiva sulla
questione mediorientale, che esso non appartiene
all'Internazionale socialista, ma si limita a cooperare col
Partito del socialismo europeo nelle istituzioni comunitarie: una doverosa chiarezza. D'altronde, o il
socialismo ha una sua dimensione internazionale, oppure non è tale. La parabola ambigua del
Partito democratico circa il terreno ideale di appartenenza è uno dei problemi politici che ha contrassegnato la sua breve storia. E questa
ambiguità, che perdura da quasi dieci anni, ha avuto dei riflessi innanzitutto
sull'identità che deve assumere una forza che è espressione politica e culturale della
sinistra italiana. Essa, a nostro parere, con l'avanzare di
movimenti nazionalpopulisti di segno identitario volutamente confuso è una condizione che porta alla sinistra non soltanto a risultare
superata nella capacità di rappresentare vasti settori della società tradizionalmente a lei legata, ma ad
allontanare il
legame ideale che ha contrassegnato la sua Storia in tutto il novecento e, in particolare, nel secondo dopoguerra. Il ritorno al
futuro socialista non ci impone di risalire alla fonte originaria del
1892, ovvero alla nascita del
Partito dei lavoratori e dei socialisti da cui scaturirono, successivamente, la Storia del
Psi, del
Psdi e del
Pci, bensì è sufficiente fare un salto all'indietro di soli venticinque anni, ovvero a quando
Bettino Craxi, Achille Occhetto e
Carlo Vizzini erano comuni aderenti
all'Internazionale socialista. La
sinistra italiana ha un dovere e un obbligo di coerenza nei confronti di scelte ideali che già aveva compiuto. E la scomparsa del
Psi, insieme ai mutamenti di orizzonte delle formazioni eredi del
Pci, non possono essere un
alibi per non aderire alla medesima organizzazione, tralasciando un elemento fondamentale proprio per l'avanzata impetuosa della
globalizzazione di questi recenti anni. La riscoperta del
socialismo non è solo legata ai singoli successi di opinione ed elettorali, che rinverdiscono la capacità rappresentativa dell'esperienza centenaria nel nostro continente ma, come vediamo, la parola
'socialista' non è più ritenuta un
tabù persino negli
Stati Uniti dove, proprio nel
Partito democratico, Bernie Sanders ha promosso una onorevole e celebrata azione di lotta politica insieme alla giovane
Ocasio-Cortez, interpreti di un
socialismo moderno, adatto ai tempi e alle condizioni generali che sta vivendo
l'America. La quale, non a caso ha scelto una analoga versione popolare intravedendo in
Doneld Trump un interprete più tradizionale della difesa della
'middle-class' statunitense. Il
socialismo non ha bisogno di
cambiare 'pelle' o la ragione per cui esso è nato oltre un secolo orsono. Ha bisogno, nel nostro Paese, di tracciare una linea di separazione con la
temperie del passato, ma deve saper nuovamente essere l'interprete delle esigenze delle
lavoratrici e dei
lavoratori, della
società degli esclusi di antica e nuova origine,
dell'emancipazione femminile, dei
diritti sociali e civili in una società moderna e avanzata. D'altronde, quali altri vaghi, confusi elenchi di aggettivi e non si è inutilmente ricorsi? Dovremmo citarli tutti, perché ci si perde nell'immensa fantasia partorita nella cosiddetta
seconda Repubblica a
sinistra: un
federalista, un
ecologista, un
democratico, un
movimentista. Ma quale di tutti questi aggettivi vale veramente l'aggettivo
socialista? Quale tra tutti questi aggettivi può e riesce ancora a evocare, ovunque nel mondo,
più cose in una sola parola come quella
socialista? Se qualcuno ci ponesse la domanda sulla legge ultima dell'esistenza, noi potremmo rispondere, come fece il buon vecchio
Karl Marx nel
1880 al giornalista
Swinton del
New York Sun: "La lotta"! Una risposta - a duecento anni dalla nascita di quel saggio filosofo - viva e attuale non solo per la
tradizione socialista, ma anche per il mondo contemporaneo. Riteniamo perciò utile rompere gli indugi e riferirsi ai prossimi appuntamenti elettorali, incoraggiando il formarsi di legami sempre più stretti fra le organizzazioni che si riconosco nel medesimo
'perimetro' storico-ideale. Il nostro auspicio è che possa sorgere, nel nome del
socialismo italiano e
internazionale, una formazione
larga, ma politicamente significativa che si ispiri a esso. E che, nel nome di questa grande tradizione della
sinistra mondiale, sappia riprodursi nel terreno della
politica democratica, imprimendo una direzione di marcia moderna, nonché sapendo operare un utile e doveroso adeguamento alle esigenze
dell'Italia e
dell'Europa di oggi. Un'azione di contrasto alle regressive politiche di una
destra che si presenta come
nuova, ma che in realtà contiene in sé tutto il bagaglio più deteriore dei movimenti
'nazional-populisti' del passato, non può che essere compiuta nel segno di una tradizione culturale che ha radici profonde e antiche, che sa
risorgere proprio da quelle
radici comuni che furono alla base di una
sinistra che, a lungo, si è divisa sul crinale della divisione del mondo in blocchi contrapposti, ma che ha saputo essere
l'asse portante della democrazia costituzionale e repubblicana italiana e che, quando è stata chiamata a svolgere un compito di responsabilità di governo nelle città, nelle regioni e nel Paese, ha saputo svolgere un ruolo essenziale per la
crescita civile e democratica dell'Italia. Nel nome di essa può e deve rinascere la nuova
forza socialista. Ed essa, misurandosi con le sfide di oggi, non potrà non esserne all'altezza della Storia che ha assegnato
all'esperienza socialista nel mondo questo ruolo. Un
Partito nel quale dovranno e potranno riconoscersi giovani generazioni di italiani sin dal prossimo
appuntamento europeo, poiché chiamati a una risposta politica e popolare convincente innanzi
all'arretramento economico e alla
barbarie civile e democratica.
(approfondimento programmatico tratto dal sito www.huffingtonpost.it)