I teorici della cosiddetta
'flat tax' affermano che questo provvedimento fiscale riaccenderebbe i consumi. La loro convinzione è infatti quella di un risparmio della classe imprenditoriale, che produrrebbe nuovi
investimenti. Un'idea totalmente
classista e
piccolo borghese, oltreché
antiquata: non tutti gli imprenditori reinvestono ciò che risparmiano dal fisco. E quelli che lo fanno, non incidono più di tanto né sul fronte
dell'occupazione, né su quello dei
consumi, poiché la parte che non lo fa o che
acquista titoli sui mercati, basta ad allargare la
'forbice' tra chi ha e chi non ha, senza riuscire a far incrociare la
curva di domanda con quella
dell'offerta. L'idea
'leghista' è un vecchio
detrito dell'economia 'neo-classica', che causò il crollo di
Wall Street del
1929 e che venne sostituita dalle teorie di
John Maynard Keynes, le quali si basavano su un presupposto semplicissimo: non è il
risparmio a generare
investimento, ma
l'investimento a generare
risparmio. A quasi
90 anni da quel
disastro micidiale, che fece ripiombare in guerra l'intero pianeta, nessuno ha ancora compreso praticamente nulla di
economia politica, della sua evoluzione e della sua storia. La
'flat tax' è un rimedio peggiore del male, poiché
genera nuovo debito, 'ammazzando' le entrate dello Stato. Se non si
sostiene la domanda di consumo con
politiche dei redditi, nuovi impieghi e nuove forme di occupazione, la merce resta
invenduta, come accadde alle
Fiat 131 Mirafiori della fine degli
anni '70. Persino gli americani compresero la questione, negli anni
'40 e
'50 del secolo scorso. E fu per questo che si ebbe il
'boom' economico in tutto il mondo occidentale, non certo per l'egoismo di
4 imprenditori del nord-est, che odiano lo Stato in cui vivono e si dichiarano
"sovranisti". Sovranisti di se stessi, ovviamente.
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)