E' in errore chi crede che, oggi,
destra e
sinistra non esistano più: si tratta dell'ennesimo segnale di un
provincialismo culturale assai grave. In realtà, in
Europa è in corso una sfida epocale tra due modelli ben distinti di società: quella imposta dal
neoliberismo e dal
capitalismo finanziario, in cui tutto viene regolato in termini di danaro, facili guadagni, potere e carriera, consumismo sfrenato e individualismo esasperato; e quello, ancora tutto da progettare e da definire, che punta a porre al centro della propria analisi la
persona umana, con i suoi
'bisogni materiali', ma anche quelli
'immateriali'. La società è il luogo delle relazioni umane, della cultura, della conoscenza e del sapere. Pertanto, nella definizione di una
nuova economia e di un nuovo modello di società dobbiamo assumere un aggettivo ormai trascurato da tempo: il termine
'umano'. Il problema di questi primi decenni del
XXI secolo non è quello di disegnare una società
'più povera', imperniata cioè sul modello
'francescano' di questa espressione, composta quasi unicamente da rinunce e sacrifici; né più
'austera', come teorizzato dalle forze
cattolico-conservatrici. Occorre più
'sobrietà' nell'utilizzo delle risorse naturali, che non sono infinite e, al contempo, coltivare un maggior
senso comune di serenità. In pratica, dovremmo deciderci, una buona volta, ad abbandonare, soprattutto in economia, parole come
'crescita' e
'sviluppo', per cominciare a parlare, a ragionare e a discutere, invece, di
formazione della personalità e
dell'identità individuale del
cittadino, affinché ognuno di noi possa diventare effettivamente libero di fare le sue scelte e di costruirsi la propria vita. Tuttavia, per realizzare un simile obiettivo
'neo-umanista' dev'essere cambiato radicalmente il modello di società capitalistico, attraverso una serie di riforme di struttura. La
globalizzazione è anch'essa divenuta troppo
'costosa': persino i
'giganti' emersi in questi anni, come
Facebook, Google e
Amazon, se ne sono accorti, anche se non amano darlo a vedere. Quel che pertanto dev'essere cambiato, ovviamente dall'interno del sistema e non per via rivoluzionaria o armata, è il nostro
apparato produttivo, assicurando, da una parte, quei
'beni materiali' e universali legati alla sopravvivenza (una casa, un lavoro, un salario dignitoso, la salute fisica e psichica), garantendo, dall'altra, quei
beni 'immateriali' universali indispensabili alla formazione e realizzazione di una persona (istruzione, cultura, tempo libero, qualità della vita). Insomma, dobbiamo metterci a
'riprogettare' un futuro che renda compatibile il lavoro per tutti con il tempo libero. Un'occupazione composta da
tre giorni di lavoro alla settimana
anziché sei, per esempio, scandita sulle
24 e non sulle
48 ore settimanali. Ciò comporterebbe un salario inferiore, ma la disponibilità di altri beni più preziosi:
a) il tempo libero;
b) l'accesso alla cultura;
c) una qualità della vita profondamente diversa;
d) una vita di coppia o familiare più umana, perché entrambi i membri potrebbero avere un impiego, alternandosi nelle questioni private o nel seguire, istruire ed educare i figli. Dobbiamo avere il coraggio di discostarci dalla mentalità della
rinuncia, del
'sacrificio' di stampo cattolico, o più semplicemente religioso, al fine di tentare la strada di un utilizzo più attento delle risorse, in una contropartita tra
beni voluttuari o superflui e
beni assai più preziosi, come la cultura, la qualità della vita e il tempo libero. Dobbiamo rilanciare una vera e propria
sfida politica nei confronti del
capitalismo e del
dominio finanziario, contro tutte le
ideolgie liberiste e
neoreazionarie, poiché è ormai divenuta necessaria una
riconversione industriale, una vera e propria
inversione di rotta. Chi afferma che in questa fase post ideologica della Storia
destra e
sinistra non esisterebbero più, in realtà si adegua alla natura
'piatta' e
conformista di quel
'pensiero unico' omologativo che intende proseguire nelle sue
divisioni e
lacerazioni sociali, riportandoci verso la
barbarie. Il vero
'disegno', dissimulato e nascosto agli occhi dei cittadini, è esattamente questo: far credere che il
socialismo sia
'invecchiato', che esso non sia più in grado di fornire delle
risposte costruttive al modello di sviluppo imposto dalla globalizzazione, la quale, in realtà, rende l'individuo un semplice
'imitatore' di un
benessere per pochi. O ci si dirige verso una società in cui i
beni immateriali, come il rispetto dell'ambiente e la cura del nostro patrimonio culturale, artistico, paesaggistico, archeologico e monumentale, possiedono un proprio spazio di espressione, estrinsecazione ed esistenza, oppure si prosegue sulla via che conduce verso lo
sfascio sociale e
valoriale. E' inutile andare in televisione a lamentarsi per le
vittorie dei
movimenti populisti, se non si riesce ad accettare questa semplice
verità, accusando altresì la
socialdemocrazia di essere
"un cane morto". Sostenere una tesi del genere significa
non aver capito nulla. Solo quando riusciremo a
sciogliere tale 'equivoco', tutto sarà finalmente più chiaro. E si può star certi che tutto questo, un bel giorno, accadrà.
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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)(editoriale tratto dalla rivista mendile 'Periodico italiano magazine', n. 39 - maggio 2018)