In merito al
bicentenario dalla nascita di
Karl Marx, noi manteniamo la nostra posizione di sempre: i presupposti di
'critica sociologica' intorno ai quali è fondata la filosofia del
pensatore di Treviri sono da considerare, ancora oggi,
validi a tutti gli effetti. E la sua
'fotografia' relativa ai
limiti della
teoria 'smithiana' della
produzione di ricchezza, ambiguamente
'agganciata' all'idea di una fantomatica
'mano invisibile' che riaggiusterebbe, col tempo e in maniera provvidenzialista, ogni
squilibrio e le svariate e molteplici
differenze sociali, rimane sostanzialmente
corretta. Tuttavia, la
'ricetta' economica proposta si è dimostrata
sventuratamente errata, poiché
burocraticamente 'pesante': una sorta di
capitalismo di Stato incapace di riorganizzarsi al termine di ogni ciclo produttivo. E' il
Marx economista quello posto, ormai da tempo, in
discussione, non il
filosofo o lo
studioso. Anche la sua
profezia più compiutamente
avveratasi, cioè quella di una
concentrazione industriale che avrebbe condotto il mondo verso il
'gigantismo' della
globalizzazione, era una
tendenza macroeconomica facilmente
individuabile già alla fine del
XIX secolo. E' facile offrire
giusti consigli agli altri, permettendosi anche il lusso di
giudicarli moralmente per i loro
errori. Assai più difficile è predisporre una
soluzione costruttiva ponendo in discussione se stessi, per lo meno quando è necessario farlo. La
teoria economica 'marxiana' appartiene al territorio
dell'economia 'classica', che vede in
David Ricardo il suo autentico
progenitore, il quale, riuscendo a dimostrare la sua nota teoria dei
'rendimenti decrescenti', sancì di fatto la sconfitta della
nobiltà terriera rispetto alla
borghesia industriale. Allo stesso modo,
Marx formulò quella
'caduta tendenziale del saggio di profitto' in base alla previsione che il
socialismo avrebbe, a sua volta,
soppiantato il liberalismo. Ma le cose, come tutti sappiamo, sono andate diversamente. Il
socialismo, alla fin fine, può solamente cercare di
completare il liberalismo là dove quest'ultimo non riesce ad arrivare:
niente di più. Una completa sostituzione della
libertà d'impresa con il
monopolio comunista dello Stato, oltre a incontrare enormi problemi in termini di
determinazione del prezzo di equilibrio delle merci, finisce col
gettare l'acqua 'sporca' con tutto il 'bambino'. Ovvero, risolve alcune questioni generandone delle altre completamente nuove, spesso
assai peggiori delle precedenti. Lo stesso concetto di
rivoluzione vanifica il tentativo di ribaltare lo
schema 'hegeliano' al fine di eliminare
"il negativo" dalla
società, poiché non fa altro che perpetuarlo attraverso l'inserimento di una
forzatura. Un metodo che possiamo considerare
ingegnoso, se si vuole, ma non risolutivo della
contraddizione insita nella
natura umana. Siamo cioè di fronte a degli autentici
'macigni concettuali' che il
marxismo classico non è mai riuscito a superare, né ad aggirare. Nemmeno nelle sue interpretazioni più
elastiche, eleganti o
'galileiane'. Col venir meno delle sue
basi socioeconomiche, il pensiero di
Karl Marx finisce col degradare a semplice
sentimentalismo proletario. E ciò solamente in termini
teorici, poiché tutti i tentativi di imporre i suoi
principi più ortodossi come base sociale e organizzativa dello
Stato hanno finito col tramutarsi in
tirannìe. L'unica risposta culturale e politica realmente costruttiva proponibile
'da sinistra' rimane il
socialismo riformista, libertario, umanitario e
'non coattivo': un metodo autorganizzativo dello
Stato, finalizzato a
'correggere' un problema alla volta. Un
socialismo 'gradualista', in grado di rimettere in equilibrio le
distorsioni del mercato senza
demonizzarlo, limitando il ruolo e la funzione dello
Stato per non costringerlo a trasformarsi in
'aguzzino'. La contraddizione insita in ogni comportamento umano rimane
insuperabile: non esiste
"l'uomo nuovo", edificatore della società perfetta o del
"paradiso sulla Terra". Tali idealismi furono delle semplici
astrazioni, che nel loro insieme andarono a comporre una
mera utopìa: non vi è nulla di perfetto a questo mondo. Ciò non toglie che esistano alcuni ambiti in cui, ancora oggi, la riflessione di
Marx possieda un suo preciso
peso specifico. Il merito principale della sua critica fu quella di aver saputo generare un ottimo
metodo di ricerca storiografica. In pratica, il
marxismo risulta uno strumento di analisi decisamente valido allorquando si cerca di dare una
spiegazione concreta, materialistica appunto, al
passato. Il
materialismo storico si dimostra utilissimo nel rovistare la Storia stessa, inserendo all'interno di quest'ultima quella particolare
ottica dei
rapporti sociali in grado di spiegare molte cose dei popoli che ci hanno preceduto, anche negli aspetti più
concreti dei loro
riti religiosi, delle
tradizioni culturali più antiche, nel descrivere i modi in cui si
viveva in una determinata epoca, di che cosa ci si
nutriva, di come si combatteva il
clima e le sue intemperie.
"Il marxismo è solamente un buon paio d'occhiali", scrisse una volta
Benedetto Croce. Riteniamo che questa frase abbia già da tempo
risolto ampiamente la questione. Per dirla con le parole di
Bonaparte: "Lo spirito sconfigge sempre la spada...". Una considerazione pronunciata da qualcuno che di
'spade', certamente,
se ne intendeva.