I cattolici hanno scelto per il referendum del 12 giugno l’astensione, premiati, oltre ogni loro migliore previsione. La scelta astensionista costituisce, da parte dei cattolici, l’ammissione implicita di essere minoranza. Paradossalmente, all’indomani di un 80% pro Ruini e Cei, il mondo cattolico sa che perde se si batte a viso aperto. La Chiesa, mediacelebrata, nel passaggio da Wojtila a Ratzinger non cede un millimetro su valori vecchi di duemila anni. Valori che nessuno segue nel quotidiano. Non ci sono ragazze vergini fra le fan a San Pietro. Chiunque usa i contraccettivi e nessuno fa l’amore solo per procreare. Il sesso inteso come piacere è un valore diffuso più delle cerimonie religiose. La famiglia è intesa come struttura economica di due stipendi.
Non ci sono donne convinte che il loro posto sia solo quello di madre. Divorziati, coppie di fatto, gay, non frequentatori di chiese, né officianti la comunione, bestemmiatori, non onoranti padre o madre, tutti costoro si dichiarano cattolici e le strutture religiose chiudono ambedue gli occhi. Nelle parrocchie, solo missionari ed extracomunitari, perché non ci sono vocazioni. I comandamenti rispettati ridotti a principi etici generali. La vittoria della legge 40 non è il rigurgito confessionale della società, che resta molto laica anche tra i cattolici. Per ciò è controproducente l’anticlericalismo che finisce per battersi contro le basette di Volontè, più da mondo di perdizione che di parrocchia. Lobby minoritaria, i cattolici sono in crescita per motivi opposti alla dottrina. Sottovalutata politicamente, la paura del fanatismo musulmano produce ravvicinamento tra laici e cattolici, in nome di un comune passato europeo. E’ una paura più forte dove ci sono più arabi, e che le migrazioni dall’Est europeo hanno diluito. Fra le cause di condanna della Costituzione europea, c’è il rifiuto di un atteggiamento buro-asettico di fronte alle religioni. Oggi, la costruzione europea non può mettere sullo stesso piano le confessioni cristiane e musulmane; anche sul dollaro c’è: “In God we trust”. La Turchia, Paese che privilegia lo Stato alla religione, sarebbe la prima a capirlo. In secondo luogo, la Chiesa è uscita indenne da Mani Pulite, più recentemente ha evitato la condanna dell’opinione pubblica nei casi di pedofilia, al contrario di quanto accaduto in Usa. I cattolici hanno evitato il discredito degli anni ’70 e ’80, dovuto alle le vicende finanziarie vaticane, e non sono crollati assieme alla Dc. In terzo luogo, questo mondo è, paradossalmente, più ricco in un contesto di forte liberalismo di mercato, perché ha colto tutte le opportunità fornite dai temi di solidarietà e di ambiente. Nel nome del business solidarietà, le associazioni cattoliche si sono moltiplicate. Nel Mezzogiorno, con pochi finanziamenti pubblici e tanta criminalità, la solidarietà ‘cristiana’ prende il posto della Cassa del Mezzogiorno. La politica, invece di recuperare un Sud sempre meno europeo, lascia fare.

La sconfitta dei Ds
Il referendum è finito chiaramente in politica. Più che la sconfitta dei ricercatori, è la sconfitta dei Ds, di Fassino e, in second’ordine, dei prodiani. E’ la sconfitta del ruolo laico dei Ds. Il centrodestra, dopo le batoste regionali, trova in questo risultato ed in quello di Catania, occasioni per rialzare la testa. Non è stata la sconfitta dei radicali, il cui referendum totalmente abrogatorio non era stato ammesso. Questi famosi radicali sono un gruppo eroico di 50 persone, con 5mila iscritti, un gruppo che sa usare al meglio le opportunità di finanziamento politico e che come ala estrema liberale, è minoritario. Possono fare da miccia politica ma tocca ad altri dare la maggioranza, come su aborto e divorzio, quando socialisti e comunisti fecero proprie quelle battaglie. Infatti, sul maggioritario i radicali non riuscirono perché lo schieramento laico, da destra a sinistra, si rivelò inefficace. Con Bobo Craxi, si deve ricordare ai Ds che la via seguita per sopravvivere ha fiaccato alcuni leitmotiv di sinistra. Il cattocomunismo distribuito, con insperati leader come Rutelli, e l’accettazione del predominio dei poteri forti economici hanno provocato incertezze. Anche in Toscana o in Emilia, dove la sinistra è maggioranza assoluta, questa non è stata raggiunta. I tratti liberali di questa battaglia, il timore di aumentare i costi sanitari, si sono associati all’influenza che in questi anni il mondo cattolico ha avuto a sinistra. L’assassinio del socialismo liberale fa sentire i suoi effetti.

Vittorie di Pirro, cioè di Berlusconi
E’ la vittoria dei laici devoti di Ferrara e di Forza Italia versione La Loggia. E’ inutile, oggi, come fa Caldoro, sostenere che il referendum non toccava gli schieramenti politici. Tutti hanno guardato con stupore alle accuse di nazismo tra le parti (dalle esperienze di giovane nazista di Ratzinger alle tendenze eugenetiche di Capezzone). Assurdità che in bocca a Giovanardi, non inficiano la comune solidarietà anti-Mani pulite dell’area CAF. Berlusconi, dopo aver smentito nei fatti tutte le opzioni liberali, punta sempre su questa antica solidarietà. Per molti di centrodestra, soprattutto per i socialisti, risulta difficile fare battaglie a fianco dei girotondi, dei giustizialisti e dei cinici delle ex Botteghe Oscure (i comitati per il ‘SI’ si sono ridotti a ‘comitati DS’). Il rifiuto di Berlusconi di mettersi in gioco fuori dal contesto plebiscitario, la reductio dell’area liberale e socialista in FI e la conversione di un suo pezzo al pro-Buttiglione ed all’anti-Udc, hanno ammazzato ogni velleità liberale a destra. In nome del vecchio CAF, la scelta di Berlusconi è quella del partito conservatore: sorprende chi a destra non lo vede. In fondo, il Cavaliere può vantare, tra una tegola dopo l’altra, una vittoria nella strada verso le politiche. La scelta di convertire il volto nordista del governo a quello del Meridione dove i partecipanti sono stati ca. il 10% grazie ad associazioni di solidarietà e ai comitati elettorali, registra una politica legata al successo momentaneo, senza strategia e senza fiducia in una strategia. Alla fine, una vittoria di Pirro.

Il referendum, emblema laico
Dire oggi che il referendum non raggiunge il quorum da 10 anni è come dire che da dieci anni la politica si è resa impermeabile alle sensibilità del mondo laico. L’unico risultato utile di questa vicenda indica ai laici di costruire una comune azione, anche bipartisan, sul modello cattolico, prima di venire imbavagliata del tutto a destra come a sinistra. E tocca ai socialisti che per primi avevano posto la questione di questo referendum, di prendere la leadership, cioè l’iniziativa in modo globale. Non si tratta di fissarsi sul tema specifico, quanto di trovare il punto comune, caratterizzante e comprensibile nella società. Questo punto sono i diritti: i diritti che sono alternativi all’idea di solidarietà, i diritti che non riguardano i poteri forti o le sacche di emarginazione, ma i grandi ceti popolari e medi. Su una politica coraggiosa, che chieda il ritorno dei diritti ai due poli; che non si attenda tutto dalle capacità concorrenziale delle grandi imprese, c’è il comune denominatore, vessillo social-liberale. I radicali non fanno che chiedere rispetto dei diritti di legalità, i socialisti chiedono il rispetto dei diritti sociali: è su questa convergenza, e solo su questa, che il mondo laico ha una prospettiva, largamente attesa. Questa scelta implica di affrontare le cose per quelle che sono, di non stare al riparo di dibattiti comodi in quanto inoffensivi e di non continuare a credere che tutto si risolva nei corridoi del Palazzo. Dentro la CdL c’è molto spazio per questa combinazione, che era simbolo di parte di quella coalizione e che è stata completamente disattesa e tradita.


Articolo tratto dal quotidiano "L'opinione delle Libertà" del 17 giugno 2005
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