La domanda che ci poniamo oggi è:
liberalizzare le droghe può creare nuove forme di
schiavitù? E una
risposta esclusiva verso la
liberalizzazione, fino a che punto è una richiesta di carattere medico-scientifico per la prescrizione di sostanze a
scopo terapeutico? Questi i temi su cui si è dibattuto a fine gennaio presso l'università
Lumsa di
Roma. Sicuramente, è palese come il
giuramento di Ippocrate indirizzi la medicina verso una condotta deontologica e professionale che ponga la salute del malato al primo posto. Ma è altrettanto provato come tale nobilisismo
preambolo etico continui a subire
aggressioni. Ci appare pertanto corretto, sotto un profilo schiettamente
laico, ascoltare il parere di tutti. In apertura del convegno, la professoressa
Maria Pia Baccari, docente associata di diritto romano della
Libera Università Maria Santissima Assunta (Lumsa) ha dichiarato:
"L'apertura alle sfide e ai giovani del mondo di oggi è il tema che verrà qui affrontato. Quest'incontro è un'occasione per richiamare i principi del diritto romano. I giuristi si limitano, a volte, a fotografare la realtà e, in virtù di questi principi, va riconosciuta la dignità delle persone". Il dottor
Luca Navarini, in merito al tema ha offerto un'esauriente descrizione su quelle che sono le conseguenze nell'assunzione delle
droghe, considerando tutte le complicazioni derivanti sia dall'uso di quelle
'leggere', sia di quelle
'pesanti', insieme a quelli che sono gli ulteriori
effetti destabilizzanti, certamente distinti, ma in molti casi superiori, all'uso degli
alcoolici. Per non parlare dell'alto
tasso d'incidenza negli
incidenti stradali, o in quello rilevato a livello medico sulle
aree cerebrali di ogni
consumatore 'sano' di
sostanze psicoattive. Proprio le nuove
resine adottate per la lavorazione e il
'taglio' del prodotto finito, in particolar modo
nell'hashish, finalizzato a
'gonfiare' la quantità di sostanza da immettere su quelli che vengono definiti
"mercati mondiali disponibili", portano a un'unica conclusione: la conferma dell'aumento dei rischi di
malattie croniche acute. Da tali premesse, si può comprendere come il tema attualmente in forte dibattito, relativo alla
legalizzazione delle droghe leggere per il solo
uso terapeutico e non semplicemente per un
uso consentito di vendita, non porterebbe in un Paese laico come il nostro a una considerevole risposta in ordine a quelle che sono le attuali incidenze in termini di aumento dell'acquisto da parte dei
minori e, soprattutto, nell'agevolazione dei traffici internazionali delle sostanze più
'pesanti', oggi raffinate secondo pericolose composizioni di elementi. E' dunque necessario conoscere quali siano i componenti effettivi di queste dannose sostanze. Come per esempio il
Thc (tetraidrocannabinolo, ndr) modificato per mezzo dello scambio del
Cbd (cannabinolo naturale, ndr): un composto utilizzato per giungere al prodotto raffinato. Si tratta di una
droga leggera, pronta al consumo. Tale sostanza, tuttavia, ha i medesimi effetti alteranti della
cocaina - che qui consideriamo, ovviamente, una droga
pesante, benché
non sintetica - e al tempo stesso altamente
tossica. E' ancora il caso di parlare superficialmente di tematiche in voga in certi
'salotti', oppure è ormai necessario
affrontare in profondità un tema così
delicato? Poniamo allora l'ipotesi della semplice legalizzazione della
marijuana: ne vorremmo autorizzata la vendita nelle nostre
tabaccherie, oppure solamente nelle
farmacie? Oppure ancora,
prenderanno 'piede' locali appositi? Autorizzare tutto questo non comporterà un aumento del contrabbando di
prodotti poco controllabili, provenienti dai
mercati esteri? E' da tali questioni basilari che si dovrebbe partire per un confronto sull'approvazione di una legge a favore della liberalizzazione delle droghe leggere. Affrontando, cioè, i tanti
punti interrogativi della questione, a cominciare dalla sostenibilità del cosiddetto
"impoverimento" o
"dell'indebolimento effettivo" delle
mafie. Un confronto sullo
'smercio' delle sostanze, sia di quelle ritenute
altamente tossiche, sia di quelle considerate
'leggere', potrebbe darci modo di verificare se sia economicamente così incontenibile e implausibile per gli attuali
'cartelli' del
narco-traffico dover abbandonare il contrabbando di alcune sostanze. Soprattutto, quando sappiamo bene che nulla impedisce ai
mercati, anche quelli
illegali, di cercare nuovi
'sbocchi', nuovi
bisogni e, soprattutto, nuove
dipendenze. Siamo inoltre così certi che lo
Stato non finirebbe con
l'aumentare i costi della
sanità pubblica, concedendo un
farmaco, quindi una
sostanza 'legalizzata', per uno scopo curativo contro patologie gravissime, quali la
sclerosi multipla e il
glaucoma? E' dunque evidente come anche il ruolo della
medicina e degli stessi
medici si aggiunga, in un argomento di tale portata, al
contesto di domande ora in proponimento. Anche al fine di arrivare a una
legge che abbia, come primo obiettivo, una
finalità scientifica in grado di supportare, innanzitutto, le nostre strutture ospedaliere, i nostri ragazzi e le scelte del nostro intero Paese. Le stesse modalità di trattamento per l'ottenimento di tali sostanze, soprattutto sui mercati esteri di provenienza, così come riportato a livello di analisi medico-statistica e visibilmente riprodotto nei grafici, stanno palesando
risultati devastanti sull'intero sistema, che pongono problematiche assolutamente serie, che non si possono riassumere con
asserzioni generiche. Il professor
Mauro Ronco, ordinario di diritto penale presso
l'Università di Padova, ha posto proprio tali interrogativi, fornendo un'esplicita risposta al procuratore della Repubblica di Catanzaro,
Nicola Gratteri, il quale, oltre a sfatare il mito
dell'impoverimento delle mafie per la perdita di una 'fetta' risibile di mercato, quello del contrabbando della
marijuana, ha introdotto la sua relazione avvertendo come
"il Thc è ormai modificato per resistere chimicamente. E le 'cosiddette' droghe leggere arrivano ad avere gli stessi effetti della cocaina. Non esiste più la marjiuana dei 'figli dei fiori' dei nostri tempi".