Potrà sembrare irriverente compiacersi del
disastro italiano, in questi giorni di festività pasquali. Tuttavia, questo nostro divertito sentimento appartiene anch'esso, in qualche modo, al campo
dell'estetica, in una società che parla troppo e che ben poche cose conosce realmente. Pertanto, procediamo in questo nostro raccontare
un'Italia che si
'morde la coda', vittima della propria
apologia psicopatologica causata da un discutibile gusto per
l'auto-annullamento. Una sorta di
catarsi aristotelica, che
'sguazza' tra le pozzanghere dei problemi in attesa che qualcuno li risolva, che
'parlotta' con voce querula completamente sorda alle indicazioni altrui, anche le più disinteressate. Perché un popolo di
fatalisti non può minimamente comprendere, o per lo meno riconoscere, una logica che appare, ai suoi occhi,
'ribaltata'. E noi dobbiamo raccontare tale
'estetica del disastro' correndo anche il rischio di finirci dentro con tutte le
'scarpe'. In una nazione costruita sulla
scarsa fantasia dei
'padani' e la
scarsissima capacità organizzativa dei
meridionali, quale sarebbe la prossima
mostruosità che dovremmo commentare? Forse la presunta
'invasione' di migliaia di disperati, giunti qui da noi per intaccare il nostro ancor più presunto benessere? Non c'è nulla di male nel provare
paura e
diffidenza: si tratta di sentimenti assolutamente
umani. Ed è anche ingenuo consigliare a chi determinati problemi li vive concretamente ogni giorno, di affidarsi a forme di
altruismo e
generosità che sembrano corrispondere alla
'dabbenaggine'. Ma anche il semplice consiglio di
"non avere paura", in verità è stato accolto in maniera
distorta, in uno dei tanti
'sbandamenti' d'identità che ci stanno
'sballottando' sempre più tra un
eccesso e
l'altro. L'apertura verso il prossimo, in termini sociologici, è soprattutto la capacità d'individuare i propri errori per correggere e
migliorare se stessi. Senza questo tipo di confronto non può esserci evoluzione alcuna: non c'è
scambio. E quando non c'è
scambio, non c'è
cambiamento. Viceversa, le diverse forme di chiusura
- psicopatologica, lo ribadiamo - che si stanno sempre più evidenziando rappresentano, ancora una volta,
quell'ipocrisia di fondo degli italiani, che li porta a volgere il proprio sguardo da un'altra parte, per non dover accettare la propria incapacità di cambiare una
mentalità surreale: per il rifiuto di dover
ammettere l'errore di aver
accettato l'errore. Come al solito, qui da noi si fa finta di non vedere quel che non si vuole vedere. In particolare, una società totalmente incentrata sulla
velocità, che concepisce la vita come un
'thriller' in cui ogni
'vuoto' deve sempre e forzatamente essere riempito da una
sensazione, da
un'emozione, da uno
slogan, rifiutando in tal modo concetti, pensieri e idee che appartengono al mondo
dell'intelligenza, del
dinamismo scientifico, della
riflessione culturale più autentica. Un
'culto del disastro' che rivela un qualcosa di
irrisolto, che mescola indistintamente la
realtà con la
fantasia, in una continua
fibrillazione nichilista dove la vita vera viene considerata un
'lusso' che non va in rete, o che non si deve vedere in tv. Forme disordinate di
'tanatologia inconsapevole', che trovano origine nell'impossibilità di poter vivere una
guerra vera, oppure di orientarne l'essenza verso il suo esatto contrario, ovvero la
pace e la
fratellanza tra gli esseri umani. Perché mai dovremmo augurare
buona Pasqua a gente del genere? Quest'esigenza di
'riempire i vuoti' alla
Brian De Palma, in cui il giuoco diviene quello di
provocare appositamente
ansie e
paure in frangenti in cui non accade un bel nulla, è il
'tappeto' sotto al quale gran parte degli italiani nascondono se stessi, insieme ai problemi del Paese: una vera e propria
mancanza di coraggio nel vivere la vita innalzandosi a un livello spirituale più
elevato. Se per lo meno vi fosse coerenza in tali forme di
cattolicesimo ritualista, ci troveremmo di fronte a una scala di valori ben distinta dalla nostra, che tuttavia potremmo
accettare e
rispettare come
realtà oggettiva. Invece, quel che più inquieta è quest'assurda
slealtà di fondo, che alla fine conduce solamente a
tradire se stessi. E tocca proprio a noi,
laici e
razionalisti, metterci a scrivere di
filosofia morale, augurando a tutti quanti
buona Pasqua, serene
ferie estive, un felice
Natale, un fortunato
anno nuovo, congratulazioni e
felicitazioni varie. Gli italiani sono diventati un popolo di
perfetti sconosciuti: chi augurerebbe
buona Pasqua a qualcuno che non si conosce?
Nessuno. Eppure, dobbiamo farlo, perché oltre ai vari
disastri che si susseguono l'uno all'altro, ci sentiamo immensamente
compiaciuti della nostra
coerente normalità. Anche quando sappiamo bene che essa non sembra affatto
'normale'.