Una
madre lavoratrice vive il distacco dal proprio figlio sempre con grande rammarico, ansia e
senso di colpa. E la sera, quando torna a casa, ha spesso la percezione di aver
'perso qualcosa', o di non aver
'fatto abbastanza'. Qualcuno potrà obiettare che per un
padre sia la stessa cosa, ma non sono del tutto d'accordo. Inutile dire che il rapporto
'madre-figlio' sia un qualcosa di
unico, soprattutto nei primi anni di vita del bambino. Il nostro retaggio culturale, inoltre, impone una diversa condizione tra mamme e papà. Per esempio, è convenzionalmente accettato che un
padre possa lavorare tutto il giorno e rincasare tardi, mentre non si può dire lo stesso di una
madre, da sempre considerata
'l'asse portante' della famiglia, colei che dovrebbe sacrificare le proprie aspirazioni per il benessere dei suoi figli. Questo
retaggio del passato ci influenza ancora oggi. Ed è uno dei motivi per i quali le
giovani coppie non fanno
figli. Le donne non sono più disposte a sacrificare la propria
autonomia. Del resto, lo
Stato italiano non supporta economicamente i genitori che lavorano, pensando che possano provvedere essi stessi alle esigenze della prole, dimenticando che le
'babysitter' costano, tanto quanto i
'nidi'. E poi c'è un discorso che esula da un ragionamento puramente economico, di tipo affettivo: mettere le donne in condizione di vivere meglio la maternità, senza sensi di colpa, senza ansia, ovvero avendo a fianco i loro figli sul posto di lavoro, almeno quando ciò risulti possibile. Finché il
duplice ruolo della donna come
madre e come
lavoratrice non verrà riconosciuto, anche economicamente, non credo che si potrà ovviare all'evidente
calo demografico che interessa il nostro Paese.
L'Italia rimarrà un posto di
'vecchi', pensato per
'vecchi', mentre i giovani più volenterosi andranno a
'figliare' in quelle rare
'realtà civilizzate' dove sono stati pensati sussidi ben più convincenti dei risibili
80 euro di
Matteo Renzi.