I toni apocalittici di chi descrive
l'Italia come
"un Paese per vecchi" sono sostenuti dalla
gerontocrazia della nostra classe politica, da una logica meritocratica sostanzialmente
inesistente, da un sistema universitario che di
formativo non ha nulla, da una
mobilità sociale totalmente
bloccata. Tutto questo non giustifica affatto una generazione che al progresso preferisce lo
'status quo': complice la sfiducia nelle
istituzioni e nei
Partiti politici, i giovani si ripiegano su loro stessi e preferiscono una coabitazione conveniente con i
'vecchi', anziché uno
scontro generazionale. Le loro scelte affettive, procreative e abitative sono influenzate da distinti fattori. L'analisi della struttura economica è fondamentale per inquadrare le cause e le possibili terapie della patologia in oggetto, quanto meno per avviare la questione verso una risoluzione. Che poi è quella di
due intere generazioni spazzate via proprio
dall'egoismo individualistico dei loro 'padri'. Una forma di
cinismo ambiguo e
retorico, che ha finito col considerare
'giovani' non soltanto gli attuali
ventenni, ma persino
trentenni e
quarantenni. Tutti accomunati sia da una contrattualizzazione
'monca' dei rapporti di lavoro (part-time, a progetto, a tutele crescenti), sia dai
consumi (viaggi, tecnologia, divertimento notturno, abbigliamento, spese per la macchina). Ma tutta questa
uniformità omologativa ha condotto unicamente all'assenza di autosufficienza economica e abitativa di due intere generazioni di giovani, allargando la categoria sia in termini
biologici, sia
sociali. Analizzando i criteri che definiscono il passaggio all'età adolescente, lo sviluppo fisico e le prime esperienze sessuali, notiamo un abbassamento dell'età a
13 anni per le femmine e a
14 per i maschi, mentre l'ingresso biologico nel mondo adulto, la
procreazione, viene sempre più
procrastinato o
evitato. A livello teorico, l'entrata dei giovani nel mondo degli adulti dovrebbe sancire non solo la loro
autonomia economica dal nucleo di origine, ma anche la possibilità di
trasferire risorse a favore dei genitori
anziani. Al contrario, quello che avviene in
Italia è che la maggior parte di
trentenni e
quarantenni non sono in grado di mantenere l'impegno di questo
'patto sociale privato' e rinunciano, o hanno già rinunciato, a una
redistribuzione pubblica più
equa. La parte di
welfare riservata a
pensioni e
cure sanitarie è ingiustificatamente sproporzionata rispetto a una più efficace spesa in
istruzione e
politiche attive in favore del
lavoro e delle
famiglie. E i
sindacati non sono stati in grado di proteggere le giovani generazioni, entrate nel mercato del lavoro con contratti a tempo
determinato. Infine, sul versante politico, i
Partiti progressisti non sono mai riusciti a imporre la
stabilizzazione contrattuale alle aziende private, mentre quelli
conservatori, che qui da noi si sono sempre e regolarmente caratterizzati per le loro
politiche rezionarie, hanno regolarmente annullato norme e accordi di
'concertazione' che, con molta fatica, i governi di
centrosinistra erano riusciti a far passare nelle aule parlamentari. Sul versante
politico, dunque, il vero problema della
gioventù italiana è la totale assenza di
istanze concrete di
giustizia sociale e
generazionale, fondamentali per alimentare un nuovo
'disegno' di società, in cui il benessere non si misuri unicamente in termini di
Pil, ma in
capitale umano, sociale e di
rispetto del futuro altrui. La politica dovrebbe proporre un
criterio di giustizia generazionale equo e condiviso, basato sull'idea che non esistono
giovani e
vecchi, ma
giovani che diventeranno
vecchi e
vecchi che, a loro volta, sono stati
giovani. L'idea di un
welfare che consideri dinamicamente ogni generazione nel suo dare e avere significa
ribaltare il paradigma, tipico del
conservatorismo italiano, per cui i
'padri' debbono continuare a
contribuire privatamente all'autonomia educativa, economica e abitativa dei
figli. E che questi ultimi, a loro volta, contribuiscano a
pensioni e
sanità quando entrano nel mercato del lavoro. Il sistema pensionistico
contributivo, introdotto solo di recente nel nostro Paese, se da un lato risponde a istanze di
giustizia generazionale, dall'altro risulta carente nella
redistribuzione delle ricchezze tra ricchi e poveri all'interno della stessa generazione, mentre invece i
pensionati più ricchi dovrebbero essere i primi a
compensare le pensioni più povere. La
giustizia generazionale e la
giustizia sociale devono trovare un
compromesso, nella misura in cui la prima venga applicata tra
generazioni contigue, mentre la seconda venga imposta
all'interno della stessa generazione.PER LEGGERE LA NOSTRA RIVISTA CLICCARE QUI
Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)(editoriale tratto dal mensile 'Periodico italiano magazine' n. 36 - febbraio 2018)