In merito ai
70 anni della nostra
Costituzione, veniamo innanzitutto a
'smontare' l'idea, vagheggiata in questi giorni da alcuni giuristi da
'concorso ippico', tesa a dimostrare come un simile lasso di durata rappresenti, già di per sé, un fatto positivo. In realtà, la
'Carta degli italiani' è stata, per lunghi decenni, sostanzialmente
inapplicata, in larghe parti e nel merito dei suoi numerosi princìpi. Innanzitutto, la
disuguaglianza sociale è rimasta un dato strutturale della nazione: non c'è
'santo' che tenga, in merito a ciò. In secondo luogo, tali ragionamenti tendono speculativamente a fungere da
'valvola di sfogo' in favore di chi afferma che nel
referendum del
4 dicembre 2016 si sarebbe perduta una
grande occasione di ammodernamento e di velocizzazione dei nostri meccanismi giuridici decisionali. Come se il
'No' espresso dal
60% degli italiani avesse rappresentato, unicamente, l'espressione di un
conservatorismo fine a se stesso. In realtà, siamo di fronte all'obiezione di chi vorrebbe riparare il
motore di
un'autovettura gettando in discarica la maggior parte dei
'pezzi' che via via s'incontrano nel
'vano-motore'. Un po' come quel pilota dell'aeronautica descritto nel film
'Mediterraneo' dal regista
Gabriele Salvatores: "Minchia! Ma quest'aereo quanti 'pezzi' ci ha"? Una piccola ma intelligente segnalazione sociologica della
folle superficialità degli italiani: un modo di essere che li porta a privilegiare un certo
estetismo dialettico, puramente teorico e sofistico, rispetto agli
effetti materiali di una qualsiasi norma di legge. La nostra
Costituzione risulta, ancora oggi, ben poco praticata, poiché regolarmente posta nella condizione di non riuscire a modificare un popolo dissociato da secoli. E lo
Stato che essa si è ritrovata a dover regolamentare era sostanzialmente lo stesso del
ventennio fascista: la
magistratura era la stessa; la
Polizia era la stessa; persino i
preti erano gli stessi. Qualcuno di questi, ancora oggi resiste nei propri
fortilizi parrocchiali: quel genere di
parroci i quali sono soliti affermare che, se una ragazza va in giro in
minigonna, è lei stessa a provocare il sessismo più volgare del
'maschio' italiano. Insomma, un preciso
'gallismo virile', di diretta discendenza fascista, ancora oggi detta i suoi
canoni identitari e di
comportamento. E se un certo
familismo amorale tende a rinchiudere, ancora oggi, le nostre donne tra i
consueti recinti della
madre di famiglia, quando non a
'marchiarla' con il classico giudizio della
prostituta, la colpa di ciò non risiede affatto nel nostro
ammuffito cattolicesimo 'sessuofobico', bensì nelle
donne medesime e nelle
generazioni più giovani, per la loro incapacità a
'produrre discorso', finalizzato a delineare un nuovo modello di società. Insomma, la
colpa è sempre di
qualcun altro, mentre bisognerebbe, al contrario, cominciare ad ammettere che, se non si ha più la forza di
ricominciare, si dimostra solamente di essere un
popolo di morti. La nostra
Costituzione, invece, è viva e vegeta. E ci indica chiaramente quali sarebbero i nostri
reali presupposti, spirituali e culturali, di comportamento. Purtroppo, il popolo italiano, per millenni degradato a
'gregge' dal
cattolicesimo 'paolino' e, più recentemente, ridotto a
singolo 'utente-consumatore' dalla rigida impostazione
'edonistica' del
marketing e dalla
merceologia di mercato, si ritrova costretto a riflettere secondo princìpi che tendono a
escluderlo dalla Costituzione, mantenendolo ben separato rispetto a essa. Anche quando una norma costituzionale viene assunta come presupposto giuridico di principio, i suoi obiettivi risultano
distanti, o di
difficile realizzazione. Viceversa, se il presupposto di partenza è la
trascendenza religiosa, oppure
l'individualismo qualunquista espresso dal
codice fascista italiano, ecco che la nostra
fonte superprimaria finisce con l'essere interpretata come una raccolta di
'norme-bilancio', totalmente prive di ogni
potenzialità programmatica. In buona sostanza, il più delle volte ci ritroviamo a comparare due interpretazioni, totalmente
inattuali, della
Costituzione: quella paragonabile a una produzione cinematografica inizialmente animata da buone intenzioni, ma
riuscita solamente a metà; e quella che si rifà a una statica e tradizionale
fotografia al 'magnesio' della società italiana, in cui vengono regolarmente perpetuati e mantenuti gli stessi
classismi, le consuete
discriminazioni, le medesime
divisioni sociali di sempre. Basterebbe prendere il
principio di eguaglianza tra
uomini e
donne per palesare il divario, ancora oggi esistente, tra
norma giuridica formale e i suoi
effetti materiali. Ognuno di noi utilizza la
Costituzione per
'stiracchiarla' e trascinarla dove più gli torna comodo. Ed è proprio questo genere di interpretazioni a generare le
'distorsioni' che viviamo, in quanto cittadini, nella vita di tutti i giorni. Ogni cosa può essere
materialmente facile, nei suoi presupposti teorici, ma nulla riesce a inverarsi in una
semplice verità filosofica, spirituale o
morale. Un
'delirio' che possiede tutte le giustificazioni storiche
del 'caso' e che, nel mondo, ci rende persino
simpatici, in quanto considerati dei
personaggi ingegnosi, geniali, poco prevedibili. Ma vivaddio, si potrà anche esser
stanchi di dover sempre
'rientrare' nel medesimo
'personaggio'? Si potrà pur esprimere il diritto di voler
cambiare se stessi, per poter
migliorare come persone e come cittadini? Per quale
'diavolo' di motivo dobbiamo sempre soffrire le
'pene dell'inferno' per riuscire a ottenere quegli stessi diritti che, nelle altre società occidentali, sono considerati
normali, o già da tempo
acquisiti? E perché mai ogni singolo provvedimento approvato e pubblicato in
'Gazzetta' diviene una vera e propria
presa per i 'fondelli', che ci costringe tutti quanti a sottostare a una serie di
compromessi tanto
agghiaccianti, quanto
inutili e
tardivi? Per riuscire a ottenere le
'Unioni civili', qui da noi si è dovuto sostanzialmente accettare un'umiliante concessione
'dall'alto' dell'arroganza degli ambienti
clerico-fascisti. E per poter affrontare un dibattito dignitoso intorno a un principio giuridico come quello dello
'Ius soli temperato', bisogna parlarne come di un
'parente scomodo', per via di quella pavida
vigliaccherìa cristiano-sociale la quale, pur condividendone contenuti e princìpi, proprio non se la sente d'immolarsi per essi.
Un Paese di Arlecchini e Pulcinella: ecco cosa siamo! E di fronte a simili
'chiari di luna', proprio non si comprende, oggi, chi parla della
Costituzione italiana come di un disegno quasi completamente
compiuto, che ha saputo resistere al logorìo del tempo: nulla può resistere ai
retaggi d'inciviltà, giuridica e morale, degli italiani. La nostra
Carta costituzionale è come un bel
vestito, che si può indossare raramente e solo in particolari occasioni. Un
dono che una classe politica forgiata dalla
guerra e dalla
Resistenza ha lasciato in eredità ai propri figli, i quali, tuttavia, il più delle volte hanno dimostrato di non esserne minimamente degni, considerandola, sostanzialmente, un qualcosa di
'stucchevole'. Fondamentalmente, come un
corpo estraneo.