A proposito di
procreazione assistita, stiamo assistendo a dibattiti nei quali è pressoché impossibile, per i cittadini,
capire effettivamente qualcosa intorno a quanto si sta discutendo. Diviene pertanto essenziale
far comprendere al corpo elettorale che ci troviamo di fronte ad un problema
di grande serietà ed importanza scientifica, per il nostro Paese, che non possiamo
nascondere sotto ‘al tappeto’ del terrorismo mediatico di aree ideologizzate e dottrinarie, quali la Chiesa o i partiti di matrice autoritaria e conservatrice, al fine di generare una confusione ed una disinformazione tale da convincere subliminalmente – se non subdolamente - i cittadini
di non essere in grado di esprimere un parere ad un referendum parzialmente abrogativo. Innanzitutto, la problematica nel suo complesso andrebbe estesa alle coppie in generale, poiché
non rappresenta un tema esclusivamente femminile. Per molti uomini non fertili sembra infatti ‘scattare’ automaticamente
un’accusa di impotenza nei loro confronti o di
esautoramento del proprio ruolo di virilità all’interno della coppia. Non è affatto così: quando si parla di fecondazione eterologa,
non si fa affatto riferimento esclusivo alla donazione di gameti maschili. Anzi, stando a quanto risulta da numerose ricerche, la maggior parte degli interventi avviene mediante
donazione di gameti femminili, soprattutto nei casi di
donne rese infertili da diverse e gravi patologie o che si sono dovute sottoporre a terapie chemioterapiche o radiologiche.
Ciò che andrebbe dunque sottolineato con maggior decisione è il fatto che si sta combattendo una dura battaglia in favore di una
regolamentazione biologica più accorta di tali procedure scientifiche, rispetto a quanto previsto dall’attuale legge n. 40 del 2004. Questa norma costringe ad
impianti non superiori ai tre embrioni e, in caso di fallimento, a
ulteriori cure ormonali devastanti, nonché ad
abortire allorquando si riscontrino
malformazioni e alti rischi per la madre. Con una legge maggiormente adeguata, si sarebbe potuto
ovviare a simili crudeltà. Bisognerebbe infatti ricordare che la procreazione assistita, anche quella eterologa, prima dell’approvazione della legge attualmente in vigore veniva
già realizzata in Italia, ed ha consentito a circa
35 mila bambini di venire alla luce senza quei
paventati disagi psicologici che costringerebbero ad
affannose ricerche ‘dagli Appennini alle Ande’ del vero genitore biologico. E se proprio vogliamo dirla tutta, i bambini nati in seguito a tali procedure scientifiche non risultano per nulla
affetti da patologie o complessi psicologici particolari, e si dimostrano
più sani ed equilibrati dei figli, ad esempio, di molti genitori divorziati o dei viziatissimi figli unici di quelle famiglie definite, con la tipica supponenza dei moralismi cristallizzati,
‘normali’. La domanda che si dovrebbe porre, invece, è la seguente: perché una legge dello Stato non dovrebbe offrire una
possibilità di genitorialità a chi la desidera e a chi si sente in grado di poter donare amore ad un figlio? Con un’opzione del genere, non si intende fornire la possibilità di effettuare
scelte di carattere eugenetico, bensì la libertà di una scelta responsabile a chi è nelle condizioni di doverne usufruire. Altrimenti, si verificherà l’inevitabile:
le persone più abbienti potranno recarsi nei Paesi limitrofi e, nel miope rifiuto verso ogni saggia regolamentazione, la gran parte della popolazione che non sarà in grado di accedere, per ragioni economiche, alla realizzazione del proprio progetto di genitorialità,
si ritroverà penalizzata. La normativa che il 12 e 13 giugno prossimi verrà posta al vaglio del corpo elettorale è fondamentalmente
sbagliata, poiché
frustra il desiderio di genitorialità in una società ormai definitivamente
condannata alla ‘natalità zero’. Se questo sogno può esser reso possibile dalla scienza medica, porre divieti puramente pregiudiziali
mina alle fondamenta quelle libertà che devono essere assolutamente garantite e tutelate in una moderna società democratica.
L’approvazione di una legge così
ipocrita ha, invece, sostanzialmente posto in stato di accusa la fecondazione medicalmente assistita come
forma di ‘edonismo sociale’. In base all’esperienza professionale da me acquisita in campo psicoterapeutico, mi sono resa conto che la libertà riproduttiva affermata dalla legge n. 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza è
parte inalienabile del diritto delle donne. Ebbene, la legge n. 40 sembra proprio andare
contro questa libertà, poiché
pone sul medesimo piano i diritti della madre con quelli dell’ovulo fecondato.
Gli italiani devono perciò venire a conoscenza del fatto che la legge n. 40 va sostanzialmente abrogata
votando quattro ‘Sì’, perché
vieta la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali prodotte nel nostro Paese accettando, però, di effettuarla con quelle importate dall’estero; perché
stabilisce a priori il numero di embrioni da impiantare nell’utero femminile ponendo sul medesimo piano sanitario, autoritariamente e al di là di ogni forma di prudenza medica, le condizioni fisiche delle donne di 20 anni con quelle di 40 anni di età; perché
vieta il congelamento degli embrioni dimezzando le probabilità di attecchimento delle gravidanze; perché
impedisce la diagnosi pre-impianto, la quale potrebbe accertare eventuali malattie genetiche ed evitare lo strazio dell’aborto.
In conclusione, la legge n. 40 del 2004 semplifica in modo grave, per finalità sostanzialmente
dissuasive, le questioni connesse al ricorso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, le quali rappresentano l’unica speranza di genitorialità per i casi più gravi di sterilità di una coppia.
Membro della Direzione Nazionale del Nuovo Psi (Responsabile del Dipartimento per le politiche sociali)
Articolo tratto dal quotidiano 'Avanti !' del 21 maggio 2005