Riguardo al mancato introito
dell'Iva, accertato in questi giorni a
Bruxelles dalla
Commissione europea, posso testimoniare personalmente non soltanto l'esistenza, in
Italia, di un'evasione
'di necessità', bensì anche
'di consuetudine' o
'd'abitudine'. Mi è infatti capitato, diverse volte, di dover spiegare come la mia personale collaborazione professionale a un progetto editoriale sia
esente dall'imposta di valore aggiunto, mentre la formula della
partnership aziendale ne preveda, viceversa, il
pagamento. In pratica, gli italiani nemmeno conoscono le norme che regolano gli scambi commerciali:
l'Iva non si paga, punto e basta. Versarla, viene considerato un comportamento da
'ingenui idealisti', quando non da
'poveri scemi'. Ciò chiarisce sempre più
'fotograficamente' la grave inconsapevolezza di un Paese composto, in buona parte, da
'furfanti inside'. L'indifferenza per l'interesse generale è un dato sostanzialmente
'genetico': non c'è neanche da parlarne. Un po' come quelle
simpatiche signore che negano di aver scelto una tranquilla
vita familiare rispetto a una complicata
carriera professionale, dopo aver incontrato un
'buon partito', come si diceva un tempo, o un
'rampollo' diretto discendente di una famiglia benestante.
Dissimulazioni all'italiana: eccoci per l'ennesima volta intenti a
'sguazzare' tra le consuete
'pozzanghere' dei nostri vizi nazionali. Certe
'tare' di fondo del nostro tessuto socio-economico non c'è proprio modo di affrontarle. Eppure, quando si protesta per una casa popolare assegnata a una
famiglia italo-eritrea, come capitato di recente nella borgata romana del
Trullo, si è persino disposti a finire in
'gattabuia' dopo aver fatto a
'cazzotti' contro
carabinieri e
agenti di polizia. Noi diventiamo dei
nazionalisti 'tutti d'un pezzo' solamente quando dobbiamo
danneggiare qualcuno, secondo una concezione
atavica, classista, ingiusta dell'italianità. L'italiano rimane un popolo a
'doppia faccia': la
tesi 'pasoliniana' regge ancora oggi perfettamente e, persino,
'laicamente'. Sono sempre più evidenti tutta una serie di
incoerenze che si sono affermate anche nelle categorie professionali più elevate:
magistrati, avvocati, medici, commercialisti, docenti universitari e via dicendo. Ecco perché, spesso e volentieri, emergono
incongruenze e
assurdità: qui da noi resiste il
'mito del furbo', nonostante il passare dei decenni. A prescindere dallo stato comatoso delle
casse dello Stato, quel che ci preme sottolineare in questa sede è la profonda
crisi antropologica del popolo italiano: un
degrado che registriamo, ormai, con la stessa identica
indifferenza con la quale in molti, ogni giorno, approcciano i propri rapporti quotidiani
"con il prossimo tuo", direbbe
Papa Bergoglio. O con
'l'Altro' sociologico, diciamo noi.