Vittorio LussanaTutte quelle forze politiche che, da un po' di tempo in qua, parlano di 'protezionismo', ci stanno ampiamente prendendo 'in giro'. Esse vogliono, in realtà, solamente il nostro voto, al fine di supportare un'economia sovvenzionata e 'liberticida', in cui i Paesi più ricchi possano continuare a vendere i propri prodotti sul mercato globale senza dover minimamente affrontare la concorrenza di quelli poveri. Ancora oggi, l'agricoltura è l'attività produttiva più diffusa nel mondo. E la cosiddetta 'popolazione rurale', quella che vive grazie a ciò che essa stessa coltiva, ammonta a circa la metà degli abitanti del pianeta Terra. Tra i prodotti più coltivati spiccano, ovviamente, i cereali, i quali sono destinati all'alimentazione diretta, oppure a essere trasformati in farine o mangime per animali. Il frumento, innanzitutto, serve sia alla panificazione, sia alla produzione di pasta. Gli altri cereali più diffusi sono, nell'ordine: il mais, l'orzo, l'avena, la segale, il sorgo e il riso. Quest'ultimo, tra l'altro, è fonte di cibo per circa un terzo dell'umanità. Non stiamo parlando di cose secondarie, bensì di fattori assolutamente fondamentali per la sopravvivenza del genere umano. Altri prodotti importanti sono i tuberi: la patata e la manioca. Poi ci sono gli alberi da frutta, la vite, l'olivo, la soia, l'arachide e gli ortaggi. Infine, non dobbiamo dimenticare le colture estensive delle piantagioni delle zone tropicali e subtropicali, tra cui troviamo: il caffè, il tè, il tabacco, il cacao, la canna da zucchero e le banane. Insomma, l'agricoltura moderna è strettamente collegata con il sistema economico globale. Essa fornisce la materia prima per l'industria agroalimentare, immettendo i suoi prodotti sul mercato mondiale in cui i prezzi subiscono frequenti oscillazioni, favorite da fattori politici, sociali, speculativi e, soprattutto, climatici, come la siccità o le calamità naturali (checché ne dica, o ne pensi, mister Donald Trump). Tutto ciò si ripercuote sulle economie dei Paesi poveri, provocando quella cosiddetta 'emigrazione economica' che altro non è se non la diretta conseguenza di un'agricoltura ancora oggi concentrata attorno a un numero limitato di prodotti. Ecco per quale motivo in Africa centrale c'è la monocoltura del cacao, mentre in quella centro-occidentale (Senegal) vi è quella dell'arachide: sono produzioni agricole le quali, a causa della mancata diversificazione delle colture, imposta dai Paesi importatori, cioè quelli più ricchi, hanno finito col rovinare i terreni riducendone le capacità produttive, in molti casi desertificandoli. Tutti questi enormi problemi, che ci stanno investendo direttamente, non si risolvono con il protezionismo. Anzi, le cose stanno esattamente all'incontrario: si tratta di questioni gravissime, causate proprio dal protezionismo e da politiche valutarie di cambio 'ineguale', attuate sin dai tempi della Conferenza di Berlino del 1884/'85. La politica degli Stati più avanzati è sempre stata funzionale a limitare, attraverso l'imposizione dei dazi doganali, ogni importazione dall'estero. Ovvero, ciò che oggi costringe molte popolazioni a migrare. La libera circolazione dei prodotti agricoli risolverebbe molti dei problemi legati alla malnutrizione nei Paesi arretrati. E l'abbandono di ogni politica protezionista favorirebbe lo sviluppo dell'agricoltura anche nel Terzo Mondo, la cui economia viene strangolata dalle oscillazioni dei prezzi e dall'altissimo indebitamento degli Stati in via di sviluppo. A tal fine, i vari negoziati internazionali di questi ultimi 25 anni si sono sempre e regolarmente 'arenati' proprio sul delicato punto dell'abbandono delle politiche protezionistiche e sui sussidi all'agricoltura interna. In pratica, i Paesi ricchi prendono tutti dei soldi, attraverso appositi fondi, per mantenere 'in piedi' le loro economie interne. Con i soldi degli altri! L'abbattimento di ogni tariffa doganale nell'Unione europea ha consentito il 'calmieramento' dei prezzi di numerosi prodotti, non soltanto di quelli agricoli, bensì anche di quelli tecnologici, aprendo quelle 'barriere' di mercato che stavano favorendo un oligopolio di 'strozzini' e 'rapinatori'. In pratica, alcune potenti aziende avevano fatto 'cartello' per poterci 'ricattare' sulle ricariche telefoniche, giusto per fare un esempio. Nell'ambito della vituperata Unione europea sono stati presi, negli ultimi anni, tutta una serie di accordi per incrementare la produttività agricola attraverso lo sviluppo tecnologico, assicurare gli approvvigionamenti dei prodotti e mantenere sotto controllo i prezzi delle merci. Ciò ha significato: 1) prezzi comuni e fissi; 2) l'armonizzazione delle norme dei singoli Stati membri. Il protezionismo, invece: a) non impedisce affatto le oscillazioni di mercato; b) favorisce assai poco la produzione interna, poiché ne riduce la domanda; c) limita, infine, le esportazioni verso i mercati esteri, perché se cominciamo a mettere dei dazi in 'entrata', la risposta naturale di ogni singolo Paese sarà quella, a sua volta, di imporli contro il nostro export. Per riavviare una robusta produzione interna non serve imporre tributi doganali: servono sostegni economici, che rendano le aziende più competitive sui mercati. E servono investimenti: un'ipotesi che i nostri 'grandi manager' e i nostri imprenditori non vogliono neanche sentir nominare, perché sperano di poter spendere i soldi degli 'altri': i nostri, in particolare. Tutto chiaro? E' preferibile acquistare una banana a basso costo da un coltivatore somalo, oppure si vuole che il coltivatore di banane venga a vivere qui da noi, con tutta la famiglia al seguito? Se un'intera famiglia somala è giunta in Italia sopra a un barcone, di chi è la colpa? Qui qualcuno mente, sapendo di mentire.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista 'Periodico italiano magazine', n. 30 - luglio/agosto 2017)

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Renzo - Volterra (Italia) - Mail - lunedi 17 luglio 2017 20.50
I dazi sono necessari a impedire che prodotti insicuri e trattati poco e male entrino con facilità nel nostro sistema di distribuzione. Io voglio le arance siciliane e non quelle spagnole. Voglio i miei prodotti, anche se li pago qualcosa in più...
Mario - Chiari (BS) - Mail - lunedi 17 luglio 2017 20.42
E, come disse il principe : "E io pago...". Sempre e comunque. Per fortuna mangio bene...
Roberto - Roma - Mail - domenica 16 luglio 2017 10.48
Ottimo articolo, che condivido parola per parola, scritto molto bene con frasi corte e cadenzate, molto giornalistico. Lei, oggi, è un ottimo giornalista.


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