Dopo il successo della manifestazione di
piazza SS Apostoli in
Roma, alcune considerazioni vanno poste a quelle forze intenzionate a comporre questo nuovo
'rassemblement' della politica italiana. Innanzitutto, l'idea di una formazione unica delle
sinistre 'plurali' non solo non è affatto
peregrina, ma potrebbe rivelarsi una
sintesi utile a chiudere una serie interminabile di
'guerre fratricide', in cui ogni sinistra pretendeva sempre di parlare a nome di
tutte le altre. Attenzione, pertanto, a non proporre la solita
'pantomima propagandistica', buona solamente per eleggere
qualche decina di deputati e un
'pugno' di senatori. Se veramente si sta parlando della nascita di una
moderna sinistra democratica e
riformista, imperniata su
Keynes e attorno ad alcuni valori comuni, come
il lavoro, l'umanitarismo e un autentico
spirito di solidarietà verso chi ha bisogno, nella nostra società e nei riguardi del Terzo mondo, che tali ideali vengano sempre lasciati al di sopra della
quotidianità e di ogni
calcolo 'minimalista'. Deve cioè trattarsi della proposta di un nuovo
'orizzonte strategico' a favore del singolo cittadino e per il Paese nel suo complesso, non di una semplice
'bandiera', innalzata la quale si può riprendere tranquillamente a
'darsele' di
santa ragione. La
strategia deve rimanere vincolante rispetto al freddo tavolo della
tattica, al fine di smentire chi, già oggi, parla di semplice
'cartello elettorale' destinato a sfaldarsi sin dal giorno successivo alle elezioni: non è questa la sinistra che serve
all'Italia e, anche in termini strettamente elettorali, si rischierebbe, in tal guisa, un
risultato modesto, incapace di dispiegare tutte le
potenzialità progettuali e
programmatiche di cui questo mondo è dotato. In secondo luogo, diviene a questo punto essenziale riuscire a evitare i
'personalismi' e le varie
'disfide di Barletta'. Si tratta di un'indicazione valida anche per
Matteo Renzi e per il suo
Pd, ovviamente, finalizzata a non perdere di vista l'obiettivo di un
centrosinistra che riesca, per una volta, a
'sorprendere' gli italiani. Si eviti, pertanto, di cadere per l'ennesima volta nella
'trappola' delle
inimicizie e degli
odi personali, che contraddicono le numerose critiche sollevate in passato verso
l'accentuato individualismo liberista del centrodestra, spesso trasceso nel
narcisismo, o nei confronti della
demagogia 'tribunizia' del
Movimento 5 Stelle. Non si faccia la
'guerra' all'interno del perimetro progressista: la
'guerra', se così vogliamo chiamarla, va fatta
'fuori', verso l'esterno. La vera causa del
fallimento politico della
seconda Repubblica risiede proprio nel
'leaderismo', ovvero nella convinzione che
un singolo esponente potesse governare, al contempo,
coalizioni assai variegate e
l'intero Paese. Si è trattato di una teoria tanto
astratta, quanto
'stucchevole', legata a un'idea di
Partito 'leggero' che è servita semplicemente a
'svuotare' la politica dei suoi contenuti più concreti, al fine di trasformarla in una sorta di
spettacolo 'circense'. Fermezza, saldezza interiore e riflessioni approfondite, infine, prima di ogni
dichiarazione da rilasciare a giornali e televisioni: ciò in quanto dovrà essere il
buon lavoro svolto quel che veramente è destinato a parlare, con i
fatti prima ancora che con gli
ideali nobili, ma
generici, tendenti a
elencare i problemi senza
connotarli realmente in sede di analisi, né in quella esecutiva per una loro integrale risoluzione. Basta polemiche tra i singoli
leader e le varie formazioni politiche del centrosinistra, se veramente si vuol portare a compimento il
'miracolo' di una nuova
forza della cultura innovativa e responsabile. Non tutti si riconoscono nella visione ideologica che ha condotto, in
Francia, il
presidente Macron a una vittoria entusiasmante, carica di
rinnovate speranze. Si cerchi, tuttavia, il
medesimo 'effetto', che è quanto serve a un Paese ormai
'prigioniero' di
slogan generalisti e
istrionismi 'macchiettistici' tanto sconcertanti, quanto inefficaci.