Giuseppe LorinDopo i precedenti articoli pubblicati per Laici.it in merito spiegazioni semantiche dei termini che riguardano la laicità, le sue problematiche e gli elementi laici della Costituzione, cerchiamo di scandagliare, con quest'ultimo e conclusivo intervento, quei contesti, non solo italiani, in cui sussistono, oggi, diverse problematiche. Quasi tutti i Paesi europei, per vie diverse e con assetti giuridico-istituzionali differenti, si sono più o meno accentuatamente avvicinati a un paradigma di sostanziale laicità. Il fatto è che il problema della laicità si sposta su terreni diversi, rispetto a quello tradizionale dello Stato e del contesto religioso. Viviamo, è vero, in quell'età preconizzata da Max Weber del "politeismo etico". Non a caso, le tematiche della bioetica e della biogiuridica costituiscono, oggi, il terreno di maggior affronto e contrasto tra visioni diverse. Al riguardo, è opportuno osservare che tale fenomeno ha assunto connotazioni particolarmente evidenti in Italia: un Paese storicamente non pluralista, quasi omogeneamente cattolico, almeno fino a quando i 'morsi' della 'secolarizzazione' non hanno cominciato a mostrare i loro segni più profondi. È anche vero che da parte di una qualificatissima dottrina costituzionale si era sostenuto che, nonostante il riferimento della Costituzione agli accordi lateranensi, il principio confessionistico non aveva trovato ingresso nell'ordinamento costituzionale, per un insuperabile contrasto di ordine strutturale (V. Crisafulli, articolo 7 della Costituzione e "vilipendio della religione dello Stato", in Archivio penale, 1950, II, p. 415 ss.). Tuttavia, il dibattito era rimasto aperto, tant'è che ai negoziatori della revisione del Concordato del 1984, il problema si è posto a tal punto da introdurre nel 'Protocollo addizionale', quella disposizione secondo la quale "si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato" (articolo 1). Una disposizione sinceramente non felice nella formulazione, poiché sottende, paradossalmente, che possano esservi più religioni ufficiali, ma che ha avuto il merito di chiudere definitivamente la questione. Anche a livello giurisprudenziale, l'attenzione sulla laicità sembra debole: solo nel 1989 si è giunti a prendere di petto direttamente la questione e ad affermare che la laicità è uno dei principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Da allora, la laicità è divenuto argomento dominante nella letteratura giuridica e nella giurisprudenza: l'evolversi del pensiero e dell'esperienza hanno fatto sì che il problema della laicità, in Italia, si sia posto in relazione al pluralizzarsi della società italiana dal punto di vista etico. Si sono introdotti, sia nel corpo sociale, sia nell'ordinamento giuridico, elementi ad alta valenza etica, a cominciare, nel 1970, dal divorzio; poi, nel 1978, con l'aborto e via dicendo, in un crescendo, soprattutto nel campo bio-medico, di interventi sempre più eticamente sensibili, con focus sul codice etico. La riprova è proprio nell'intervento tardivo della Corte costituzionale, che dichiarò la laicità come principio supremo dell'ordinamento costituzionale solo alla fine degli anni '80, quando il pluralismo delle tavole di valori morali era già un fatto compiuto nella società italiana. Oggi, a processo ormai avanzato, il problema della laicità dello Stato, delle istituzioni pubbliche e del diritto sembra porsi piuttosto nei confronti del pluralismo etico, che contempla il diritto alla vita e il diritto alla morte, o alla morte assistita, grazie alle leggi sul biotestamento, sulle disposizioni dei trattamenti sanitari e il diritto al rifiuto delle cure. La laicità sembra non favorire più questa o quella, tra le varie posizioni etiche sussistenti nel corpo sociale, con il rischio che il proprio inveramento divenga un obiettivo impossibile. Il problema della laicità oggi si sposta anche verso altri poteri, rispetto allo Stato: ai soggetti da cui si pretenderebbe un agire laico, pare si debbano cogliere significativi elementi di una evoluzione in atto, così come dimostrato dal nuovo tema dello 'ius soli' per la cittadinanza ai figli di immigrati nati e cresciuti in Italia. In buona sostanza, con il fenomeno della globalizzazione si assiste al declino della 'forma-Stato' ricevuta dal passato, che strutturava in maniera gerarchica i poteri esistenti nella società ponendo al vertice quello politico, il quale aveva il compito di ordinare e armonizzare tutti gli altri. Oggi, il declino dello Stato segna la fine di tale primato. E tale declino risulta accompagnato dall'ascesa di nuovi poteri, tra l'altro di carattere transnazionale: ci riferiamo, innanzitutto, al potere economico, a quello 'massmediale', al potere delle aziende farmacologiche, a quello scientifico-tecnologico della biologia genetica. Si tratta di poteri che tendono a emanciparsi da quello politico, che cioè tendono a essere insofferenti verso ogni 'etero-regolamentazione', non solo in senso giuridico, ma anche e soprattutto in senso etico. Basti pensare alla procreazione medicalmente assistita, che è stata definita "il far west della procreazione". E lo stesso processo è previsto per la legalizzazione dell'uso personale e terapeutico della cannabis. Il problema della laicità, oggi, si pone anche su questi terreni e, in particolare, su quello biomedico. Ma sono istituzioni 'altre', rispetto allo Stato, alle quali si va orientando la pretesa a un agire laicamente, senza preferenze per opzioni di parte, siano esse di carattere culturale, ideologico, religioso o etico. Una pretesa diretta ad assicurare che le scelte da operare siano veramente laiche, poiché sottratte all'arbitrarietà e a un uso di parte. Quali conclusioni trarre, nella prospettiva di un futuro che viene? Molto difficile dare delle indicazioni. Come sempre, l'analisi dei fenomeni è assai più facile della proposizione di soluzioni. Stando così le cose, ci sembra che il tema della laicità debba passare da una irraggiungibile neutralità degli apparati pubblici, a un più ragionevole metodo di relazione nella vita della società civile e politica, nel quale alla forza delle posizioni delle singole parti che si confrontano, si sostituisce la forza della ragione. Per quanto attiene più specificamente alle leggi, l'autentica laicità può essere raggiunta solo nella misura in cui il legislatore si muova seguendo l'unico principio etico che del diritto è proprio: la giustizia. La laicità come metodo vale anche per gli altri poteri in ascesa, che in ragione della loro autoreferenzialità appaiono ancora chiusi, o comunque poco sensibili, a una apertura dialogica con la società e le sue componenti vitali.        


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Fra Diavolo - Roma - Mail - venerdi 16 giugno 2017 23.5
Caro Signor Lorin, ho cercato con interesse e applicazione di afferrare cosa possa essere per lei la laicità. Non ci sono riuscito, ma, dopo tanti sforzi e riletture, ho il sospetto che possa dipendere dal fatto che non sia un concetto chiaro e definito neanche nella sua mente. Sembra che lei dia per ormai acquisito che il concetto si sia evoluto e non riguardi più il rapporto tra il governo della società civile e la, o le religioni che si ostinano a non morire. Non avendo io intenzione di ridurre la questione al solo aspetto semantico (anche se lei era partito con questa prospettiva) e cercando di non lasciarmi invischiare nella tecnica giuridica, ho cercato di capire cosa sia per lei questa famosa laicità. Credo che si possa facilmente essere concordi sulla sua affermazione che «il problema della laicità, in Italia, si sia posto in relazione al pluralizzarsi della società italiana dal punto di vista etico». Allora sarebbe lecito attendersi che la sua analisi faccia luce sul ruolo che la laicità può svolgere per aiutarci ad affrontare questa situazione potenzialmente conflittuale. Effettivamente «la laicità non sembra favorire più questa o quella tra le varie posizioni etiche» ed assistiamo all’«ascesa di nuovi poteri», alcuni parecchio agghiaccianti (questo lo dico io) quali, per citarne pochi, quello farmaceutico e quello militare (quest’ultimo da lei trascurato) i quali, per di più, «tendono ad essere insofferenti verso ogni ‘eteroregolamentazione’ [Sic!]». Allora, ancor di più vorremmo che la laicità fosse «un’apertura dialogica con la società e le sue componenti vitali». Ben detto! Chi potrebbe mai non desiderarlo? E qual è la laicità che lei ci propone e che dovrebbe risolvere la questione? Sembra un nonsocché, che faccia in modo che «alla forza delle posizioni delle singole parti che si confrontano, si sostituisc[a] la forza della ragione». Purtroppo, troppi nella storia umana hanno affermato di avere quest’obiettivo…


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