Questa settimana dedichiamo una riflessione in merito alla pessima figura fatta dal vicedirettore de 'l'Espresso',
Marco Damilano, innanzi all'ex presidente del Consiglio dei ministri,
Massimo D'Alema. L'accusa, maliziosamente insinuata dal giornalista nel corso della trasmissione
'Piazzapulita', andata in onda sulle frequenze de
'La7' la sera del
1° giugno scorso, era l'inflazionatissima
'leggenda metropolitana' di un
D'Alema protagonista e artefice, nell'autunno del
1998, della caduta del
Governo Prodi I. Le cose non andarono affatto così. Risulta con piena evidenza che, se il leader dell'allora
Pds si fosse realmente impegnato in quella
fantomatica 'congiura', descritta con ricchezza di dettagli su tutti i giornali dell'epoca, di certo non avrebbe poi trovato, nelle aule parlamentari, molti
voti a sostegno degli
esecutivi da lui guidati negli anni successivi. La politica italiana spesso è
paradossale: ciò è fuori discussione. Tuttavia, lasciar entrare la
'volpe' direttamente nel
'pollaio' di
Palazzo Chigi, sin da allora ci è apparsa una ricostruzione assai
'romanzata', priva di ogni credito. Intorno a quella vicenda, ancora oggi continuano a non essere tenuti in considerazione alcuni
elementi di contesto che, invece, spiegano assai bene cosa accadde veramente.
Rifondazione comunista, che in base a un complicato accordo di
'desistenza' a quei tempi si trovava nell'area della maggioranza che sosteneva il
Governo Prodi, subì una dolorosa
'scissione' proprio nel tentativo disperato di
'salvare' quell'esecutivo. Un'operazione promossa da
Armando Cossutta e
Marco Rizzo, che non riuscì ad andare in
'porto' solamente per
un voto. Un solo, singolo,
voto contrario, che certamente non fu quello di
Massimo D'Alema, bensì di
Fausto Bertinotti. Questo genere di
'miti' e
'leggende' svelano, in realtà, un mondo del giornalismo italiano che, non si capisce per quale
'diavolo' di motivo, non solo
non verifica le notizie, non soltanto si affida a vere e proprie
'voci di corridoio', ma spesso costruisce, per mero
'autoconvincimento psicologico', intere narrazioni fondate sul
nulla. Si noti che stiamo parlando di
Marco Damilano, uno dei migliori analisti in circolazione, che trovo regolarmente nella propria postazione presso la
sala stampa di
Palazzo Montecitorio. E si noti anche che stiamo trattando del percorso politico di uno degli esponenti più influenti degli ultimi 20 anni,
Massimo D'Alema, che in seguito è stato vicepresidente del Consiglio del
Governo Prodi II - il quale, affidandosi una seconda volta a chi lo avrebbe
'pugnalato' alla schiena nel
1998, ovviamente fu subito
'dipinto' come un povero ingenuo... - e il ministro degli Affari Esteri che, il
31 marzo 2008, insieme allo stesso
Romano Prodi e al sottosegretario
Bobo Craxi, riuscì a portare a
'casa' la vittoria di
Milano per
l'Expo 2015 presso il
'Boureau international des exspositions'. Un risultato a lungo considerato
secondario da parte di molti colleghi. Una sottovalutazione a cui lo stesso
Matteo Renzi ha dovuto rimediare in fretta e furia, poiché il
Governo Berlusconi del
2008-2011, nell'organizzare la manifestazione aveva finito col perdere un mucchio di tempo. E non certo a causa delle note vicende di
corruzione, emerse solamente in una fase successiva. Sia come sia, la domanda sorge spontanea: perché ci sono tutti questi colleghi, anche validi ed efficienti, che ogni tanto
danno per scontate certe
'fandonie'? Si tratta di emerite
'dicerie' che, inspiegabilmente, reggono la prova del tempo per
interi decenni e in base alle quali vengono costruiti
scenari già minati alla base. Ecco scoperto uno dei motivi per cui il nostro sistema democratico non riesce a realizzare quasi più niente. La verità è che esiste da sempre, nei
corridoi e in certe
'stanze' della politica, un
'pozzangherone' di
chiacchiere e
volgari falsità in cui è sempre buona cosa non andare a
'pescare', poiché è sorta una questione antropologica di
'autoreferenzialità' tutta italiana. Siamo certi che quest'ultimo problema non riguardi
Marco Damilano, la cui ingenuità ci è apparsa, tuttavia,
evidente. Anche al fine di dimostrare ad
Antonio Padellaro che non siamo affatto dei
'maestrini', noi non riteniamo che
l'ingenuità sia, tecnicamente, un
errore: può capitare a tutti di
'inciampare' in una
notizia falsa. Ma la
mancata verifica di quella notizia, lo è pienamente. Nel caso in esame, stiamo parlando di una
'bufala' che sta in piedi sin dal
1998: e noi saremmo quelli che vorrebbero porre un freno alle
'fake news'? E con quale
credibilità, di grazia? In questo genere di cose, mi torna sempre in mente un ottimo corsivista de 'il Giornale',
Gianni Pennacchi, che spesso e volentieri era solito chiedermi di
porgergli un 'orecchio', per potermi dire in tutta confidenza:
"Ma senti questo che 'cazzo' sta a dì...". Il più delle volte aveva ragione. Perché ci vuole
'fiuto' per riconoscere le
sciocchezze. E anche per fare questo mestiere.