La
polisemìa del termine
'laico' e del suo derivato,
'laicità', è un dato di fatto ben noto e di esperienza comune. Semmai, è comunemente meno avvertito il fondamentale dualismo di accezioni dei loro molti significati, sia nel linguaggio religioso, sia in quello politico. Ma tale
polisemìa, in questo caso, attiene tutta ed esclusivamente a quest'ultimo campo, riferito al termine
politico. Infatti, per quanto riguarda il primo senso, quello religioso,
'laico' e
'laicità' costituiscono un esempio tipico del processo di
'innesto' del
cristianesimo nella
classicità greco-romana; più ancora, di quell'incontro tra
Gerusalemme e
Atene, tra fede biblica e filosofia greca. Il cristianesimo delle origini trasse dalla lingua universale del tempo, il greco, il termine
làos, piegandone però il significato alle proprie peculiari esigenze. Fu in questo modo che si modificò il vocabolo greco, che si trasformò da significato generico, a uno specifico: quello del popolo che aveva ottenuto il battesimo. Il termine
'làikòs' cominciò, letteralmente, a caratterizzare coloro che, in quanto battezzati,
"appartenevano al popolo". Nei tre primi secoli di vita del cristianesimo, si sviluppò un versatile processo di adattamento di questo originario vocabolo greco alle nuove esigenze poste dalla vita della
Chiesa, producendosi contestualmente un'ulteriore connotazione. Nel senso che, abbastanza rapidamente, il termine, dalla primitiva valenza, indicativa di tutta l'intera comunità dei battezzati, passò a significare la
porzione di questi costituita da quei fedeli che non erano stati
investiti del
sacro ministero. Dunque, cominciò a delinearsi, all'interno dei cristiani, una distinzione profonda tra i fedeli, che contrappose i
'laici' ai
'chierici': una separazione che si radicò rapidamente. Con l'affermarsi
dell'impero romano, la distinzione tra
chierici e
laici si accentuò, fino a stabilizzarsi. Da quel momento in poi, chierico e laico saranno i termini chiamati a indicare, con assoluta precisione, nella Chiesa istituzionale,
due differenti categorie di battezzati, distinte a seconda della recezione o meno
dell'ordine sacro e, quindi, della appartenenza o meno alla struttura gerarchica della
Chiesa. Ma a un certo momento della Storia della cristianità, di cui i termini in questione,
'laico' e
'laicità' sono inevitabilmente
figli, essi vennero a conoscere alcuni processi di
trasmigrazione nel linguaggio secolare, i quali, attraverso varie fasi, li ha condotti alla odierna
pluralità di significati, di cui manifestazione estrema è la
laicità come espressione di
laicismo. In sintesi, si può ricordare che la prima trasmigrazione avvenne in pieno medioevo, tra
l'XI e il
XII secolo, nel contesto della
lotta per le investiture, che vide contrapposti il
papato e
l'impero al punto da intendere il potere profano,
pro-fanum, cioè prossimo ma esterno alla
Chiesa. Dunque i
laici non solo appartenevano,
ab originem, all'istituzione ecclesiale, ma nella prospettiva delle conflittuali relazioni tra
Chiesa e
politica, cominciarono a rappresentare un
potere, benché diverso, distinto ed estraneo a quello ecclesiastico e che, anzi, a quest'ultimo si contrapponevano. La secolarizzazione dei termini
'laico' e
'laicità' era ormai avvenuta. Come per tutte le
"pietre scartate" che divengono
"testate d'angolo", il processo di estraneazione dei termini procedette dal terreno
'fertile' della
politica a quello della
cultura. Nell'età
dell'umanesimo, tra il
XIV ed il
XVI secolo, la riscoperta delle opere filosofiche, letterarie e artistiche
dell'antichità greco-latina indusse un'atmosfera intellettuale che si tradusse in una educazione e produzione culturale che pose, come elemento di principio,
l'uomo. Alle
litterae divinae si contrapposero le
litterae humanae. E accanto agli
studia divinitatis nacquero gli
studia humanitatis. È un altro aspetto del
processo di secolarizzazione, fenomeno anche questo propriamente
cristiano, che portò alla nascita e alla contrapposizione di una
cultura laica rispetto a una
religiosa. Un ulteriore passaggio è dato, nel
XVII secolo, dalla nascita delle
scienze naturali in senso proprio e moderno, di cui rimane emblematica la cosiddetta
'questione galileiana'. Il conflitto tra
pensiero teologico e
pensiero scientifico, che costituisce ancora oggi il nucleo forte delle posizioni di
laicità-laicismo, cominciò ad attingere al terreno epistemologico e toccò il problema del metodo:
il sapere è solo quello scientifico? Il metodo per l'allargamento delle conoscenze è solo quello
empirico? Ecco l'elemento nuovo, che ben presto si identificò con l'incompatibilità: dove
la religione è
favola, mito, dogma, ovvero paradigma non dimostrabile, la
scienza è invece
razionalità, sapere critico, sperimentazione. La
laicità non solo si contrappone alla
religione, ma in molti casi con essa è radicalmente
incompatibile. L'ultimo passaggio si attuò con
l'illuminismo, che segnò il definitivo passaggio del singolo individuo, attraverso la sua emancipazione, dalla tradizione, dalla metafisica e dalla fede religiosa alla piena
libertà e alla concomitante affermazione filosofica della propria
autonomia. La
laicità fu lo
'strappo finale' da tutto un passato e si riflette, tra l'altro, in una concezione dello Stato, del diritto e della politica non solo marcatamente segnati
dall'autonomia dell'individuo, ma anche nel promuovere tale autonomia. La
laicità divenne, quindi, programma politico, qualificazione dello Stato, funzione del diritto positivo. Il processo di risemantizzazione dei termini in esame fece, in tal guisa, un ulteirore passo in avanti. Ciò non significa che
'laico' e
'laicità' abbiano assunto un significato nuovo, diverso, contrapposto a quello cristiano originario: significa, al contrario, che è in atto un
processo di pluralizzazione di significati che non pare doversi arrestare e che induce a porsi l'interrogativo più radicale. Vale a dire, se tali termini non debbano essere abbandonati perché ormai
inutili, ovvero non utili in quanto non compatibili e non in grado di mettersi in comunicazione tra loro. Il fenomeno appare assai rilevante sul terreno
giuridico, dato che il
diritto, sia come
norma, sia in quanto
dottrina, presupporrebbe termini
chiari e
univoci, idonei a esprimere concetti lineari e distinti, privi di
ambiguità. Pur tenendo presente la questione
dell'uniformità di giudizio, che rimanendo sullo sfondo delle finalità filosofiche ed empiriche può prevedere alcuni
aspetti spirituali, declinando una
laicità capace di coniugare alcune posizioni di principio tipiche della
filosofia morale, la
laicità può insomma avocare a sé anche la
sfera religiosa, relegando gli aspetti
mistici e
antiscienfici a mere
ritualità private, mosse da
sentimenti morali o
princìpi di coscienza. Tuttavia, ciò ripropone la questione di una
laicità che si presenta come filosofia contraddistinta da un
'doppio binario'. Ovvero, in quanto
teoria della prassi basata su un presupposto di
religiosità dubitativa. Il
dubbio diviene
metodo, mentre la
prassi scientifica resta solamente un
fine, un mero
obiettivo verso cui dirigersi, ma non facilmente raggiungibile. Può anche darsi. Tuttavia, tali elementi rendono la
laicità un metodo
dinamico, capace di
"bruciare i ponti della staticità", cioé quei tipici atteggiamenti, puramente formali, destinati a trasformarsi in
"mero meccanismo", per dirla con
Benedetto Croce; oppure, nel campo artistico-culturale, in
"pura rappresentazione", parafrasando
Carmelo Bene.