Nell'ultimo numero mensile di
'Periodico italiano magazine', la nostra redazione ha focalizzato il suo obiettivo
sull'infanzia, sulla crescita e su come interagire con i bambini nel nuovo millennio. Oggi vorremmo, invece, trattare un discorso che va a conficcare i propri
'artigli' in quel
'guado nero' che a volte può essere
l'adolescenza. Prima di procedere, però, è giusto fare una premessa: per ragioni
personali non avrei voluto affrontare questo discorso ma, alla luce di una serie di fatti che a breve snoccioleremo, sento la necessità di farlo e nel modo più
chiaro e
diretto che conosco. Quindi, mettiamoci comodi e parliamo di
Tredici (13 reasons why). Molti, probabilmente, avranno visto o quantomeno sentito parlare di questa
serie televisiva americana, in onda sulla piattaforma
Netflix. Si tratta di un
dramma psicologico, cosa che potrebbe far storcere il naso e allontanare gli spettatori più restii ad affrontare argomenti seri. Tratto dall'omonimo romanzo di
Jay Asher, l'adolescente protagonista della narrazione,
Hannah Baker, si suicida senza un'apparente spiegazione. Uno dei suoi compagni di scuola,
Clay Jensen, tornando un giorno a casa, trova una scatola contenente
7 audiocassette su cui
Hannah ha registrato la propria storia e i motivi per cui ha deciso di togliersi la vita, o meglio come le azioni di alcuni dei suoi coetanei l'abbiano spinta a tanto. Ogni lato di una cassetta riguarda un personaggio, per un totale di
13: i
13 motivi per cui
Hannah Baker si è
suicidata. Affondando nel racconto,
Clay cercherà di scoprire la verità e rendere giustizia alla ragazza, nonostante tra quei
13 motivi ci sia anche lui. Di fronte a una storia del genere ci sono due reazioni possibili:
1) il superamento del confine della finzione, che porta a ragionare sulle tematiche trattate;
2) oppure, il barricarsi dietro il classico:
"E' una finzione creata ad arte", che poco avrebbe a che vedere con la realtà. Proprio intorno a quest'ultima accusa si basa una recensione di questa serie tv, uscita lo scorso
2 maggio sulle pagine de
'Il Fatto Quotidiano', a firma
Selvaggia Lucarelli. Per quanto le pubblicazioni di questa ragazza possano spesso far
girare le 'scatole', spesso la
'blogger' di Civitavecchia riesce a strappare un sorriso e, per sbaglio, anche una
riflessione. Eppure, in questa suddetta
"recensione semiseria", così definita dalla stessa autrice, non si trova alcun
acume, neppure per sbaglio. In
otto punti, che per grazia divina sono meno dei
13 della serie, la
Lucarelli ci spiega come il personaggio di
Hannah sia completamente sbagliato, che
"le sta sulle balle" in quanto
vittima di 'bullismo' che finisce con l'allontanare le persone che le vogliono bene, come
Clay e i
genitori, colpevolizzando il mondo per ogni
'starnuto storto' che le capita di fare. Impossibile, quindi, empatizzare con un personaggio così
"illogico". Anche gli altri personaggi non sfuggono all'incorruttibile censora: prendiamo il
'bullo', troppo bello e ricco per essere credibile, circondato da
sociopatici da cortile e
genitori inetti, che lasciano ville extralusso a disposizione per le
'feste-bordello' dei giovani. Insomma,
critiche 'trite e ritrite', per ogni dramma adolescenziale su celluloide. Il problema è che, come spesso avviene per la
Lucarelli, si tratta di un
approccio superficiale e riduttivo, che non tiene conto del contesto e dei
diversi piani di lettura che si dovrebbero applicare a un'opera audiovisiva. Se, in generale, può bastare una buona dose di
pressappochismo per scrivere una recensione, un argomento spigoloso come il
'bullismo' non può essere affrontato con tanta superficialità, in modo
"semiserio". Hannah Baker è colpevole, secondo la nostra
Selvaggia, di essere troppo buona e di non apprezzare il fatto che nella sua scuola girino delle foto di lei
in mutande; di lei che alla prima
'sbronza' da una bacio a una sua compagna di classe (quest'ultima, oltretutto, è un'omosessuale che non riesce ad ammetterlo a stessa); che i compagni
'maschi' abbiano stilato una lista in cui risulta essere:
"Il culo più bello della scuola". Impossibile pensare che una ragazza possa essersi sentita a disagio, o bersagliata, secondo la
Lucarelli: "Ora, visto che Hannah non dirige 'D' di Repubblica, non è Lella Costa e non è Meryl Streep al microfono alla notte degli Oscar, ma un'adolescente in cerca di conferme sulla sua avvenenza, come tutte le adolescenti del mondo, io al fatto che faccia una questione da "mercificazione del corpo delle donne" per 'sta benedetta lista faccio fatica a credere". Evidentemente, per
'Selvaggiona' le ragazze in fondo all'anima debbono essere tutte
'sciacquette' alla ricerca di
conferme sulla propria
avvenenza, gradendo il
'fischio alla pecorara' nei corridoi scolastici, suggerendoci che, probabilmente, lei fosse così a suo tempo. Fortunatamente, nel mondo, i ragazzi sono diversi e reagiscono in modo ben
distinto alle provocazioni. Oltremodo, la
Lucarelli si dimostra un'analista
leggera, più che
"semiseria": la decisione della protagonista di suicidarsi non giunge dopo l'aver scoperto la lista o le fotografie, ma dopo esser stata
stuprata. Per chi volesse leggere integralmente tale
"recensione semiseria" può andare a visionarla sulla pagina
Facebook della
'non sappiamo bene come classificarla' di
Civitavecchia, ma riportiamo qui di seguito una delle risposte rilasciate ai tanti che hanno
'osato' ribattere alle opinioni espresse:
"A quelli che 'siete adulti, non potete capire le dinamiche', devo dare una notizia destabilizzante: siamo stati adolescenti anche noi. E il bullismo esisteva già. Nel mio caso, aggiungo che ero 'la carina della scuola' e che di 'bullismo' e 'cyberbullismo' subito ne so più della media degli adolescenti". Mi chiedo davvero quale
bullismo possa aver subito la
Lucarelli: davvero non riusciamo a immaginarcelo. Forse, più che
vittima sarà stata
carnefice, chissà. Chi scrive ha avuto a che fare con un
'bullo' che, per un anno intero, gli ha fatto odiare l'alzarsi dal letto la mattina. Non voglio entrare nello specifico di quanto è successo, ma sfrutto lo spazio che qui mi viene concesso per dare una posizione meno
'oltranzista' di quella della
Lucarelli. Essere vittime di
'bullismo' è un qualcosa che ti senti addosso per tanto tempo, che ti fa perdere la
fiducia in chiunque, anche nella tua famiglia. Con buona pace di
Selvaggia, un adolescente sa riconoscere come i genitori possono avere dei
problemi e il ragazzo/a non voglia aggiungere il
'carico' da 12 punti. Una soluzione unica non esiste e non ci sarà mai: bisogna solo stringere forte i denti e andare avanti, perché prima o poi finirà. Per il sottoscritto è bastato
crescere: resistere un anno in più per scoprire la capacità di
ignorare, di essere più
forti senza doversi confidare necessariamente con la
famiglia (si è saputo solo molti anni dopo dei problemi che ho avuto), ma non per tutti è così. Parlarne con un adulto può essere una
soluzione, ma non sempre la cosa più
logica può essere applicata
all'adolescenza, dove ogni problema minimo sembra
centuplicarsi. Queste consideraizoni potranno sembrare
banalità e, forse, lo sono. Ma se c'è un merito che va riconosciuto a
'Tredici' è quello di aver affrontato la questione di
'petto', senza addolcirla, proponendo una storia in alcuni punti poco realistica e forzata per ragioni di sceneggiatura
(questa è l'unica concessione che possiamo fare all'analisi della Lucarelli). Hannah è una normale adolescente che, messa di fronte al dolore,
interiorizza invece di esternare: un meccanismo che non si impara neanche crescendo, figuriamoci a
14 anni. Prima di affrontare una tematica così poco
"semiseria", sarebbe il caso di contare fino a
10 mila e anche oltre, dal momento che ci sono ben più di
13 ragioni per cui, a volte, è meglio
tacere.