La verdeggiante
Toscana, regione centrale della versatile penisola italiana, offre svariate opportunità di villeggiatura. Tra natura e Storia non è difficile
'perdersi'. E scegliere luoghi realmente
particolari da visitare potrebbe essere arduo. Ma questa volta ci siamo recati in un posto veramente
unico, spingendoci all'interno dell'entroterra toscano: in provincia di
Firenze, infatti, si situa il comune di
Reggello, un territorio abitato sin dall'antichità. Dal fondo della
valle dell'Arno, il territorio comunale risale lungo le pendici della dorsale montana del
Pratomagno, dividendolo dal
Casentino. L'Arno attraversa la vallata, mentre i
colli del Chianti separano il
Valdarno superiore dal territorio di
Siena. Reggello, inizialmente chiamato
Castelvecchio di Cascia, nacque come luogo di mercato tra la
via del Casentino e la
Cassia vetus (attualmente
strada dei Setteponti, ndr). Nel
1773, grazie a un provvedimento legislativo del
Granduca Leopoldo, venne ufficialmente fondata l'attuale comunità. Lungo il paesaggio, si snodano diverse coltivazioni di viti, olivi e ameni centri abitati, per di più case coloniche attive come
aziende agricole o
agriturismi. Poi si raggiunge
Arezzo, percorrendo la
strada dei Setteponti. Durante il percorso, s'incontrano suggestivi centri storici ricchi di interesse artistico, i quali s'incastonano tra le colline, integrandosi con le loro particolari architetture, sia di carattere religioso, sia militare: la
Pieve romanica di
San Pietro a Cascia (Reggello); Pian di Scò e
Gropina (Loro Ciuffenna); il
Castello di Sammezzano e la
Torre del Castellano. La
Pieve romanica di
San Pietro a Cascia è una delle più interessanti chiese di campagna
'valdarnesi': la qualità delle sculture e l'architettura, l'eleganza delle linee e le proporzioni, la rendono unica. Le prime notizie inerenti risalgono alla seconda metà dell'anno mille, ma sicuramente la costruzione si è protratta nei secoli: ci sono, infatti, riferimenti al
tardo romanico (XIII secolo). Nell'adiacente
museo Masaccio di
arte sacra è possibile ammirare il
Trittico di San Giovenale del
1422, prima opera del
Masaccio. Di particolare interesse sono:
l'Area Naturale Protetta (Foresta di Sant'Antonio - situata sul versante occidentale della catena del Pratomagno) e la
Foresta di Vallombrosa, una riserva naturale biogenetica, che ha legato la sua storia alla presenza dei monaci dell'omonima
abbazìa. Qui si trova
l'arboreto sperimentale, una collezione di piante sorta per scopi scientifici che racchiude circa
5 mila esemplari, suddivisi in oltre
700 specie arboree e arbustive provenienti da tutto il mondo. Si possono inoltre praticare
trekking e fare passeggiate lungo gli itinerari naturalistici, percorribili anche in
mountain bike o a
cavallo. La stessa
abbazìa di Vallombrosa, peraltro, fu il centro di diffusione dell'ordine di
Vallombrosani ideato da
San Giovanni Gualberto, nobile fiorentino. Nel corso del tempo, essa ha vissuto molti sviluppi: dopo il primo
oratorio in legno, negli anni
1224-1230 si passò a una costruzione in
pietra. Nel frattempo, fu costruito anche il
monastero. In seguito ad altri interventi, avvenuti nel
secolo XV (il chiostro, la sacrestia, la torre, il refettorio), nel
secolo XVII l'abbazìa assunse l'aspetto che ancora oggi mantiene. Ma le sorprese non finiscono qui: fanno parte di questo patrimonio anche le chiese di
Sant'Agata in Arfoli; San Michele a Caselli (forse di origini longobarde, ma attualmente in forme barocche, poiché la struttura romanica fu rinnovata verso la fine del XVII secolo);
San Jacopo e
San Clemente a Sociana. Si unisce a queste ricchezze artistiche il
castello di Sammezzano, che domina la collina sopra
Leccio. Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona, nato a
Firenze nel
1813, trasformò e ampliò l'edificio preesistente tra il
1843 e il
1889. Benché la sua storia risalga
all'epoca romana, per proseguire poi in quelle successive, il castello è influenzato dalla corrente culturale definita
'Orientalismo'. Questa si diffuse in tutta
Europa sin dall'inizio del
XIX secolo e vide
Firenze come uno dei principali centri di divulgazione. Di ordine
moresco (da
'moros', termine con il quale si indicavano gli invasori musulmani in Spagna, di provenienza africana e dunque detti
'Mori', ndr), la fortezza subì l'influenza
dell'arte islamica, sviluppatasi tra fine
XI e fine
XV secolo nell'area del
Mediterraneo occidentale, sia in
Spagna (Andalusia), sia in
Maghreb. La struttura del castello precedente al
1818, cioè prima delle modifiche di
Ferdinando Panciatichi, in un documento redatto dall'ingegnere
Giuseppe Faldi appare di consistente volumetria, con bastione e scalinata d'entrata nella parte opposta a quella dell'attuale accesso. Lo stesso
Panciatichi ne fu sia proprietario, sia committente. Sebbene non fosse laureato, si occupò dell'opera ingegneristica, architettonica e geologica: egli pensò, progettò e finanziò il castello realizzandolo in loco, mediante manodopera autoctona e, in gran parte, con i manufatti con cui è costituito. La modifica riguardò soprattutto la struttura preesistente e l'integrazione di nuove sale: la
Sala d'ingresso, 1853; il
Corridoio delle Stalattiti, 1862; la
Sala da Ballo, 1867; infine la
Torre centrale, 1889. Il visitatore viene così accolto dall'incantevole itinerario: ci si aggira nelle
65 sale della villa-castello, dove convogliano linee severe ed essenziali, dalle chiare volumetrie. Le cupole ad archi intrecciati, i mosaici in ceramica e i bassorilievi scolpiti, i motivi geometrici o vegetali e, infine, l'uso di ceramiche a lustro (decorate con raffinati disegni e colorate in blue e oro), che caratterizzano lo
stile 'moresco', ci fanno vivere un po' di
arte orientale: cinese, araba e
spagnola. Anche l'uso del
capitello secondo il
modello romano è un altro particolare, mentre una
facciata 'solare' e una
'lunare' distinguono il maniero da tutti gli altri esistenti in
Italia. Annesso a quest'ultimo vi è il
Parco storico di
65 ettari, in cui è situato un patrimonio botanico inestimabile, formato non solo dalle specie arboree introdotte, ma anche da quelle indigene voluto fortemente da
Ferdinando d'Aragona, esperto di piante e appassionato di botanica. E' assai
singolare che tale costruzione vada a inserirsi nel
paesaggio tipico toscano: lo stile
'moresco-orientale', insieme alla natura e alla cultura antica, sono i fattori esclusivi di
Sammezzano. Il
castello, unico nel suo genere, attualmente è chiuso. Tra gli
anni '70 e
'90 del secolo scorso fu trasformato in albergo. Dopo varie vicende, la proprietà è passata a una società italo-inglese, la quale vorrebbe valorizzare il complesso come struttura turistico ricettiva: un progetto ancora in attesa di realizzazione. Il castello è dunque inutilizzato e le visite, al momento, non sono concesse. Peccato: insieme al
Parco storico, esso costituisce un
'unicum' di notevole valore storico-artistico, architettonico e ambientale, assolutamente da non abbandonare.