Poche settimane fa, ci siamo recati in viaggio a
Londra. E abbiamo potuto osservare il
dramma quotidiano di molti
italiani che lì risiedono e lavorano. Si sente molto spesso parlare di
'fuga dei cervelli', ma non si dice che, molto più spesso, a fuggire sono le
'braccia'. Su
100 immigrati italiani,
22 possiedono una laurea,
30 un diploma di scuola superiore e
48 soltanto la licenza di scuola media inferiore.
L'80% circa dei lavoratori viene quindi ritenuto
'poco qualificato' dalle aziende. Moltissimi sono coloro che ricevono lo
stipendio minimo stabilito per legge, ossia
7,50 sterline orarie. Ed è stato calcolato che, in una città come
Londra, il salario minimo per vivere - e non semplicemente per sopravvivere - dovrebbe essere all'incirca di
2,25 sterline più alto, che significano
18 sterline in più per una giornata lavorativa di
otto ore. Abbiamo passato un paio di notti in alcuni degli
ostelli più economici della città e abbiamo potuto constatare che sono in molti a essere costretti a
'dormire' qui, perché una stanza in affitto sarebbe troppo costosa. Le condizioni sono piuttosto difficili e le
liti all'ordine del giorno. Anche i piccoli episodi di
criminalità sono molto diffusi: abbiamo infatti potuto assistere alla
pianificazione del furto di una
bicicletta da parte di un neanche ventenne
pescarese che abbiamo conosciuto. Più che il gesto vero e proprio, è stato
l'oggetto scelto a colpirci, poiché ci ha portato alla memoria il capolavoro del cinema neorealista di
Vittorio De Sica, 'Ladri di biciclette': il ritratto di
un'Italia di settant'anni fa, appena uscita dalle distruzioni, materiali e morali, del conflitto mondiale. Ma oggi, nel
2017, nell'ex centro economico di
un'Europa sempre più
lontana e in un Paese del
'primissimo mondo' colpisce l'assoluta banalità del gesto, che incarna la
miseria, non soltanto monetaria, di molti nostri giovani connazionali
'mescolati' quasi per caso ad altri
8 milioni di volti a cercare chissà cosa e chissà dove. L'illusione di un
'Paese dei balocchi', dove si guadagni tanto, ci si diverta altrettanto per poi, un giorno,
tornare in Italia da signori, in verità si dimostra una nazione in cui, anche dove esiste abbondanza,
nulla è regalato. E recitare, una volta tanto, la parte dello
straniero cattivo non può che far bene, in un momento storico in cui il
nazionalismo sta cercando di rialzare la testa e nel quale, da una parte, si chiede di
fermare gli sbarchi in Sicilia, mentre dall'altra ci si
indigna se gli
svizzeri blindano i loro confini rappresentando gli italiani nelle vesti della
'Banda Bassotti' sulle pagine dei loro quotidiani. In un mondo in cui gli
inquisitori vengono
innalzati a difensori della libertà non stupisce che alcuni Stati, come per esempio
l'Australia, rendano ancor più difficile
l'immigrazione, introducendo nuovi visti per spremere
l'agrume 'lavoratore' e, dopo un paio d'anni, rispedirlo da dove è venuto, senza troppi complimenti. Il mercato del lavoro di domani sarà sempre più contraddistinto dalla
mobilità rispetto a oggi. E la capacità di
'reinventarsi' sarà uno degli attributi più ricercati. Ma in questo, senza alcun dubbio, noi
italiani siamo
maestri.