Negli ultimi vent'anni, cioè dal
1997, anno di stesura e approvazione del
Protocollo di Kyoto, il mondo ha iniziato a interessarsi realmente al binomio:
sviluppo tecnologico-sostenibilità ambientale. Con il termine ambiente, a noi tutti vengono in mente le foreste, i mari, i laghi, i deserti. Ovvero, la
natura generalmente intesa. È bene oggi, in virtù del grande sviluppo che la potenza di calcolo ha avuto negli ultimi anni, fare un passo in più e considerare questa parola sotto un'ottica diversa: quella delle
supermetropoli, della
connessione ininterrotta e senza limiti e delle
nuove tipologie di lavoro. Ovvero, il nostro
habitat contemporaneo. Quest'ultimo dovrà presto affrontare una delle più grandi contraddizioni dell'era contemporanea:
l'aumento della produttività senza un apprezzabile
aumento dell'occupazione. Ora, sulla reale portata di questo fenomeno, gli
economisti sono tutt'altro che concordi. L'unica cosa certa è che se ne sta cominciando a parlare in maniera un po' più
seria. La novità, rispetto al passato, è che la
tecnologia sta passando dall'essere uno
strumento al servizio del lavoratore, al
lavoratore stesso. Con questa affermazione non intendiamo certo dire che il mestiere, per dire, del
critico d'arte o del
politico saranno presto effettuati da
robot, perché non tutti gli impieghi sono riproducibili mediante
algoritmi. In molte professioni conta soprattutto il
'fattore umano', ma il
postino, lo
spazzino, l'autista e via dicendo potranno facilmente essere sostituiti da una
macchina. Sono a rischio, insomma, quei mestieri nei quali l'elemento predominante è la
routine, mentre si manterranno più saldi quei lavori legati
all'ingegneria informatica e tutti quelli che ruotano attorno alla
rete, al suo utilizzo o alla sua manutenzione. È probabile che, nel tempo, i lavoratori non altamente specializzati verranno man mano
espulsi dal mercato del lavoro e, probabilmente, mai più
riassorbiti se non acquisiranno nuove competenze ritenute più
'spendibili'. Per rendersi conto dell'attualità del problema, qualche mese fa il
parlamento europeo ha discusso su come inquadrare giuridicamente la definizione di
'robot'. E una possibile soluzione a questa
'disoccupazione tecnologica' sembrerebbe essere quella del
reddito di cittadinanza: un'opzione favorita anche dalle
grandi multinazionali per sopperire al decremento dell'occupazione. Per dare un'idea della possibile dimensione del fenomeno è stato calcolato che circa il
57% degli attuali posti di lavoro in Europa saranno
a rischio, mentre in
Cina tale percentuale toccherà addirittura il
77%. È prevedibile che i mestieri
dell'alto artigianato non subiranno una flessione. Al contrario, essi risulteranno ulteriormente
valorizzati dal fatto che, solamente in essi, la mano dell'uomo parteciperà attivamente nel
processo creativo in senso materiale. Anche la prossima diffusione di massa delle
stampanti 3D aprirà scenari inediti in tale campo, permettendo a tutti di creare
oggetti di design affidando alla macchina il compito di realizzarli materialmente. Ciò s'inserisce perfettamente nella
filosofia dei 'nuovi mestieri': per esempio, quello del
blogger, che non richiede particolari competenze, se non quelle di riscontrare successo in rete e di avere un esercito di
followers. Qui ci viene in mente l'esempio dell'italiana
Chiara Ferragni, pioniera in tale campo, che in poco tempo, grazie al suo blog
'The Blonde Salad', ha raggiunto un successo globale, arrivando a fatturare
10 milioni di euro l'anno e diventando
un'icona della moda, assoldata come
testimonial da molte aziende del calibro di
Yamamay o
Guess. Sia come sia, tornando al rapporto
tecnologia-ambiente, di recente ha destato scalpore e incredulità la dichiarazione dell'attuale capo
dell'Epa (l'agenzia per la protezione dell'ambiente statunitense),
Scott Pruitt, (nominato da
Trump e di professione avvocato) riguardo al fatto che non esisterebbe legame alcuno fra
riscaldamento globale e
anidride carbonica: onore al merito a chi, con una frase, ha distrutto anni e anni di inutili ricerche scientifiche di un'altrettanto inutile categoria umana, nota con il nome di
'scienziati'. Pare poi che, negli ultimi mesi, lo spettro della
guerra fredda sia tornato a bussare alle nostre porte. Dalle ultime dichiarazioni di
Donald Trump riguardanti l'intenzione di
'restaurare' l'arsenale nucleare statunitense, ai continui
test missilistici della
Nord Corea nel
mar del Giappone, al fragile equilibrio europeo, la situazione sembra più
calda che mai. Non è certo uno scenario che l'umanità non abbia affrontato prima, questo è vero. Ma le nuove conquiste della
tecnica, unite a una
nuova idea di politica, che ragiona più con la
pancia che con il
cervello, mette certamente paura. A tal proposito, assume particolare valore la dichiarazione del fisico britannico
Stephen Hawking, relativamente alla creazione di
"un unico governo mondiale che tenga a bada l'aggressività insita nella natura umana", andando oltre il concetto di nazione e nazionalismo. Può sembrare un'ideale
utopistico. Tuttavia, è fuor di discussione che il concetto stesso di
democrazia dovrà essere
riformato, in futuro, perché a volte le dittature trovano le proprie colonne portanti proprio nelle
maggioranze 'impazzite'. In passato,
Hawking aveva già espresso le proprie perplessità riguardo ai pericoli derivanti dallo sviluppo
dell'intelligenza artificiale, che posta al governo del mondo potrebbe arrivare alla conclusione che la migliore azione da intraprendere sia quella di eliminare il genere umano, come nel film:
'Terminator'. Insomma, l'uomo non può essere sostituito, in tutto e per tutto, dalle
macchine. E del termine
'ambiente' non dobbiamo più considerare solo il suo significato
'ecologico', bensì anche quello
'sociale' e
'antropologico'. Ma queste cose le scopriremo molto presto, poiché l'era delle
democrazie cibernetiche è ormai all'orizzonte.