Da tempo, la presente testata aveva segnalato il rischio di un
isolamento della Russia di
Vladimir Putin, il quale poteva invece svolgere un
ruolo fondamentale per abbattere lo
Stato islamico. E nonostante
un'Europa flagellata dagli attentati terroristici, compreso quello di
Stoccolma di questi ultimi giorni, l'obiettivo di riuscire a sconfiggere
l'Is era divenuto assai vicino dal concretizzarsi. Molto del merito è proprio del
leader russo, che nonostante non riscuota il massimo delle nostre simpatie, ha dimostrato il proprio
'polso' contro il
fondamentalismo islamico. I fatti di questi giorni, con
l'attacco siriano di Idlìb e la risposta americana ordinata da
Donald Trump, riportano la situazione al punto di partenza o quasi, oltre a segnalare il
paradosso di una
Nato schierata sullo stesso fronte del
Daesh, di
al Qaeda e dei
Fratelli musulmani. Cercare di
spodestare Assad sta cominciando a costare un po' troppo all'occidente. Senza contare la possibilità di un
'dopo' che potrebbe rendere la
Siria ingovernabile, come accaduto in
Libia e, a suo tempo, in
Somalia e in
Irak. Questa storia di togliere di mezzo le
dittature laiche - che poi tanto laiche non erano - per far posto a
sistemi democratici che conducono al potere con facilità proprio le forze ispirate
all'islamismo radicale, più che
un'escalation verso la
terza guerra mondiale sembra
l'olimpiade del masochismo. Il lancio dei
59 missili Tomahawk è un nuovo clamoroso errore del
neopresidente americano, asceso al potere sulla base di
un'astratta teoria isolazionista degli
Usa che, nel breve volgere di un mese, ha incontrato tutta la sua
astrattezza e
contraddizione. Dev'essere proprio una
fase della Storia, quella che stiamo vivendo, in cui
smentire se stessi va di moda: una sorta di
delirio goliardico, irresponsabilmente inconsapevole dei rischi di provocare
un'autentica tempesta. Il nostro presidente del Consiglio,
Paolo Gentiloni, si è subito affrettato a schierare
l'Italia a fianco dell'alleato occidentale, per via delle presunte
"motivazioni" americane a rispondere alla strage di
Idlìb: un maggior
sforzo di fantasia sarebbe stato assai apprezzato, poiché non ci può essere alcuna motivazione valida nel porsi sul medesimo piano di chi utilizza
armi chimiche contro il proprio stesso popolo. La
Siria si è
'avvitata' in una sanguinosa
guerra civile che dura, ormai, da
6 anni. Un arco di tempo non breve, che conduce l'opinione pubblica a una
rassegnazione pericolosa, esponendo il mondo a
recrudescenze tanto imprevedibili, quanto improvvise. E così è stato, con un
presidente americano che non aveva nemmeno finito di
tessere l'elogio nei confronti di
Vladimir Putin e del suo regime. Per non parlare di tutto il
'chiacchiericcio' querulo, infondato e
'sordo' di casa nostra, tra
'neotrumpisti' e
'filoputiniani', oggi costretti a prendere atto che
l'unico 'asse' da essi individuato era quello del
gabinetto di
casa propria. L'entrata degli
Stati Uniti nel conflitto complica ulteriormente lo
scenario bellico complessivo, trasformando la
questione siriana in una guerra
'tutti contro tutti': una sorta di
rissa a cielo aperto, stupida e inutilmente costosa. Gli
Usa, in particolare, proprio in questi giorni stavano constatando la buona riuscita della
'cura Obama' contro la
disoccupazione, tornata ai livelli del
2007. Ma questa loro discesa in campo riporta ogni cosa all'epoca di
George W. Bush, il cui acceso interventismo aveva aperto autentiche voragini nei conti del governo di
Washington, il quale si ritrova nuovamente costretto a metter mano al portafoglio.
Cento milioni di dollari è costato, secondo alcuni calcoli, il
blitz americano. Ovvero, circa
70 milioni di euro, che a loro volta equivalgono a
140 mila miliardi di vecchie lire. Quanti posti di lavoro si potevano creare, per esempio nel campo della
'green economy' e delle
tecnologie più avanzate, con un investimento di questa portata? La domanda, ovviamente, è destinata a
cadere nel vuoto.