Carla De LeoBobo Craxi, del Partito socialista italiano, è soltanto un osservatore esterno, ma interessato a quanto sta accadendo in questi giorni nel centrosinistra e, più in particolare, nel Partito democratico. Lo è per via di una possibile evoluzione verso la nascita di un nuovo 'campo' socialdemocratico in grado di ridare piena autonomia alla sinistra italiana, in una prospettiva laburista, umanitaria e riformista che non insegua vuoti propagandismi e svincoli il Paese da una lunga 'deriva plebisciatria', la quale, in nome della governabilità, ha fatto strame di ogni valore di sincerità e pluralismo politico. Siamo di fronte a un ritorno verso le vecchie 'appartenenze separate'? Oppure, più semplicemente, si sta prendendo atto del bisogno di una politica legata a identità culturali precise, basate su fondamenta autentiche, capace di dare risposte ai cittadini, rigettando i confusi 'calderoni' di questi ultimi decenni? Ecco, qui di seguito, il parere di un erede diretto della grande 'famiglia' socialdemocratica e riformista italiana.

Bobo Craxi, innanzitutto lei cosa ne pensa delle vicende che stanno dilaniando il Partito democratico?
"Il Partito democratico da tempo non si configura più come una comunità coesa, bensì come un insieme di 'accampamenti' di potere territoriale, il cui collante non é ideologico, né strategico. Ha risposto, in una fase, alla domanda di 'ricovero' delle aree provenienti dall'ex Dc e dal Pci. La gestione di Renzi ne ha cambiato la natura e gli orizzonti, spostandolo al centro dello schieramento politico italiano. Le sconfitte e le cesure con l'elettorato tradizionale della sinistra hanno fatto il resto. La scissione è la 'spia' di una difficoltà crescente della democrazia politica italiana. In questo caso, una sinistra che si stacca dal centro potrebbe riaprire una dinamica diversa, che potrebbe persino risultare salutare, anche se é ancora presto per saperlo".

Ma una scissione non rischia di indebolire la sinistra nel suo complesso?
"Non possono convivere a lungo tendenze e metodologie di gestione politica cosi differenti, a Renzi piaccia o no. La fusione della cultura 'post democristiana' con quella 'post comunista' é fallita: questo é un dato incontrovertibile".

Cosa cambiava un Congresso fatto in sei mesi anziché in 4?

"La questione può apparire procedurale, ma la sostanza é un'altra: non é possibile far convivere due concezioni della politica così distanti. Le parole e i giudizi espressi nell'assemblea di sabato scorso sull'operato del Governo Renzi sono da condividere in toto".

Il vero oggetto del contendere era la fretta, da parte di Renzi, di andare a votare?
"Sì: l'idea di Renzi era proprio questa. Lo scossone delle divisioni finirà, naturalmente, col provocare ugualmente una crisi parlamentare e di governo, in particolar modo dopo le amministrative. Ma la prospettiva riguardava e riguarda le politiche che s'intendono praticare in nome e per conto della sinistra: c'è un'area democratica e progressista, ormai, che guarda al centro e che si é intestata politiche più simili a quelle praticate dai conservatori in Europa. E c'è una sinistra che, se riscopre i valori socialdemocratici, così come ha auspicato Enrico Rossi, potrebbe svolgere un ruolo essenziale per l'avvenire".


La nostra impressione è quella di un segretario uscente, Matteo Renzi, vittima della suggestione di poter raccogliere una buona parte del bacino di voti del mondo moderato italiano, per riconsegnare l'Italia a una sorta di nuova Dc occultata sotto le spoglie di un fantomatico 'Partito della Nazione': le cose stanno così? E' un'analisi corretta?
"Penso che le cose, almeno in parte, stiano così. Quel che non é più contendibile è il 40% dell'elettorato italiano. E il ritorno al proporzionale rende il sistema profondamente diverso".

E il suo Partito, il Psi, cosa farà? Cosa debbono fare i socialisti?

"Siamo di fronte a un fatto nuovo, non si può far finta di nulla: il fallimento della ricomposizione della cultura del riformismo italiano è avvenuto proprio perché si è pensato che essa fosse possibile a prescindere da una presenza significativa dei socialisti. Se, nella nuova prospettiva della sinistra italiana verrà fatto un richiamo esplicito al Partito socialista e alla cultura del socialismo democratico, mi suonerebbe assai difficile voltare la faccia da un'altra parte. Questa evoluzione delle cose era ben presente sin dal giorno successivo alla 'tornata referendaria': avevamo chiesto un supplemento di riflessione e di verifica proprio perché si tenesse conto dell'evoluzione del quadro politico. Ma questa riflessione non c'è stata. Ed é stato lanciato un Congresso senza tener conto di variabili tutt'altro che indipendenti, come le leggi elettorali e le separazioni alla sinistra del Pd. Ora penso che, se si muoveranno condizioni compatibili con la nostra Storia, che puntino a riunificare i diversi 'tronconi' del socialismo italiano e se vi sarà una chiara impronta politica socialista, così come sento dire, per noi la riflessione sarà più che obbligatoria".

Quali sono le linee programmatiche che si confronteranno al prossimo Congresso del Partito socialista italiano?
"Io sono convinto che una lista dalla chiara impronta socialista debba e possa essere una prospettiva a cui riferirsi. Questo punto, quello della 'posizione elettorale', non é minimamente sfiorato nella mozione congressuale, tra l'altro unica, di Riccardo Nencini. Mi pare che il nostro Congresso nasca già fortemente penalizzato da questa mancanza di analisi. Credo che ai socialisti vada data una prospettiva chiara. E spero che il dibattito pubblico delle prossime settimane determini questa condizione".

Paolo Mieli, di recente, ha dichiarato: "Nella politica italiana, le scissioni sono sempre andate a finir male". Ha una logica, secondo lei, creare una forza politica del 6-7% schierata lungo il fianco sinistro del Pd? E se sì, quale?
"Mieli fa riferimento alla lunga storia delle scissioni nel campo della sinistra. D'altronde, le ragioni delle separazioni, all'epoca risiedevano soprattutto all'influenza determinata dal quadro internazionale. Oggi, invece, mi pare sia entrata in crisi, con grande evidenza, la compatibilità del rapporto fra la corrente cattolico-democratica e quella post-comunista, che potremmo definire, a questo punto, 'neo-socialdemocratica'. Ricreare uno spazio del genere nella sinistra italiana ha una logica: ne aveva poca, invece, quella dell'incontro tra 'post Dc' e 'post Pci', legata esclusivamente da un vincolo di potere. E, infatti, ha finito per fare la fine che sta facendo".


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