Cittadini tedeschi
omosessuali sono stati costretti, o indotti, alla
castrazione in ambedue le
Germanie (quella dell'est e dell'ovest) ben oltre la fine del
regime nazista e, almeno, sino al
1969. Ovvero, sino quando il vecchio
'Paragrafo 175', un articolato del
Codice penale tedesco del
1871, varato a pochi mesi
dall'unificazione bismarckiana e aggravato proprio dai
nazisti nel
1935 - per perseguire con la reclusione persino i desideri degli omosessuali - venne finalmente
modificato. A fare la scioccante scoperta è stato lo storico
Jens Michael Kolata, da anni docente di Tedesco e di Storia e cultura tedesca nel Nordi'Italia. Lo riferisce un articolo del 25 gennaio scorso sul quotidiano germanico
'Stuttgarter Zeitung', ripreso in
Italia in occasione della
'Giornata della memoria' da alcune fonti, tra cui
'Prideonline.it', sito vicino al circolo di cultura omosessuale
'Mario Mieli'. Lo studioso era alla ricerca di documenti relativi ai trattamenti sanitari cui erano stati sottoposti uomini omosessuali e bisessuali durante il nazismo, quando si è imbattuto in annotazioni relative alla
castrazione 'post 1945' di
'criminali sessuali', insieme a vere e proprie cartelle cliniche custodite negli archivi della fortezza di
Hohenasperg, a 20 km da
Stoccarda, nel land meridionale del
Baden-Württemberg. Una struttura che ancora oggi ospita, come durante gli anni del
'Terzo Reich', l'ospedale centrale del carcere regionale in cui furono eseguiti gli interventi di
castrazione scoperti. La prima menzione della
castrazione come punizione in
Germania, o cosiddetto
'trattamento' per gli
omosessuali, emerge durante il regime nazista:
Hitler e vari gerarchi come
Himmler, con incredibile ipocrisia, data la larga diffusione di omosessualità e bisessualità nelle file naziste (come dimostrato dall'esauriente saggio, elogiato a suo tempo anche da
Simon Wiesenthal, dello scomparso giornalista e attivista gay
Massimo Consoli dal titolo:
'Homocaust' - Kaos edizioni, 1991) sostenevano tale pratica come mezzo per preservare e rafforzare la
purezza della
'razza ariana'. Essa veniva usata anche contro altri gruppi sociali, inclusi
disabili, zingari Rom e
Sinti, gli ebrei e i cosiddetti
'asociali', per impedirne la riproduzione e il mescolamento genetico con gli
'ariani'. La
castrazione, o quantomeno la
sterilizzazione, veniva praticata, a volte, anche con sistemi particolari e persino
stravaganti, escogitati con tipico
zelo nazista. Il medico e giornalista
Luciano Sterpellone, scomparso nel
2016, nel documentato saggio
'Le cavie dei lager' (Mursia - 1978) cita il rocambolesco metodo (ben presto abbandonato, poiché assai poco efficiente) della
sterilizzazione mediante convocazione del detenuto negli uffici della direzione del lager, o prigione in questione, seguìta dall'invito a sedersi per colloquio con un
funzionario SS davanti a una scrivania, dalla quale venivano erogate massicce dosi di
raggi X destinate a colpire - a insaputa del malcapitato - i suoi
organi genitali. I
nazisti castravano uomini
gay e
bisessuali per
'curarli' e condurre crudeli esperimenti medici (come quelli, ben noti, del medico danese
Vaernet, i quali altro non erano - come per quelli di
Josef Mengele - che un'ulteriore, sofisticata, forma di tortura). In alcuni casi, soprattutto nel primo periodo del regime, i
nazisti proponevano ai catturati la
castrazione proprio come
alternativa alla prigione, o ai
campi di concentramento. Si ritiene che, in quegli anni, migliaia di persone si siano sottoposte a quella che veniva definita
"smachilizzazione volontaria", mentre non c'è ancora accordo, tra gli storici
(Consoli e altri) sul numero complessivo di
gay sterminati nei
lager (le cifre possibili variano dalle
30 mila alle
250 mila persone). Ma tornando alle scoperte di
Kolata, le note dello psicologo
Nikolaus Heim, che ha seguito fino agli anni '80 del secolo scorso i cittadini tedeschi castrati dai medici di
Hohenasperg (ex-Germania ovest) fanno riferimento a
51 uomini complessivamente sottoposti al
barbarico 'trattamento' tra il
1963 e il
1978. Proprio in quel quindicennio in cui, finita l'era
Adenauer e dopo la storica
'resa dei conti' col
marxismo dell'Spd a
Bad Godeberg (1959), la
Germania ovest s'imponeva all'attenzione del mondo col trionfo dei
socialdemocratici di
Willy Brandt e il loro lungo governo. E ben oltre la modifica del famigerato
'Paragrafo 175' del
Codice penale, intervenuta nel
1969 con la limitazione della pena solo a casi particolari, tra cui quello di rapporti omossesuali con
minorenni. D'altro canto, la
Germania est, nel
1950 era tornata alla
vecchia versione della norma, limitandone in seguito il campo al
sesso con minori di
18 anni nel
1968, per poi abolirla completamente nel
1988. Tra questi
51, ben
12 avevano la dicitura
'omosessuale' accanto alla tipologia di
crimine sessuale. Nelle cartelle del
dottor Heim sono inoltre riportate le pesanti conseguenze di questa pratica sulla
salute psicofisica delle vittime. Secondo gli esperti, l'evidenza dei dati dimostra, ormai oltre ogni dubbio, che i medici tedeschi continuarono a sottoporre a
castrazione gli
omosessuali dal
1945 sino al
1969 e oltre, utilizzando le stesse
metodologie naziste per imporre loro il
trattamento e, persino, lo stesso linguaggio. Sempre il
'Stuttgarter Zeitung' ha portato alla luce anche la testimonianza di un uomo che, nel
1996, chiamò un noto programma radiofonico tedesco raccontando di essere stato sottoposto a castrazione nel
1968. L'uomo, che disse di chiamarsi
Gustav, raccontò di essere stato perseguito più volte, nel dopoguerra, per la propria
omosessualità, sino a scontare oltre vent'anni di prigione. Dopo l'ultimo arresto, il procuratore lo avrebbe convinto ad accettare la castrazione in cambio della liberazione: per amara ironia della Storia, poco dopo il rilascio di
Gustav, il
'Paragrafo 175' venne finalmente corretto. La vicenda raccontata da
Gustav combacia perfettamente con le ultime scoperte di
Kolata: la
Germania non ha ancora finito di fare i
'conti' con la propria
Storia. Era già noto che, nel
1945, durante l'agghiacciate scoperta dei campi di concentramento, i
prigionieri omosessuali non furono affatto liberati, bensì dovettero scontare le loro pene, sempre in base al
'Paragrafo 175', in normali carceri. Insomma,
l'omosessualità, anche in
Germania ovest, è rimasta a lungo un
argomento tabù, causa di una vera e propria
'morte civile' per chi ne veniva accusato. Come per esempio nel caso dell'assistente del procuratore federale
Friz Bauer, 'cacciatore' di
Eichmann e di altri
criminali nazisti nella
Germania del
1960-'61, in cui il
'Paragrafo 175' venne usato - con documentate accuse di rapporti omosessuali - per colpire, indirettamente, il procuratore, come ricordato nel bel film tedesco del
2016: 'Lo Stato contro Fritz Bauer'. Già l'anno scorso, il
ministro federale della Giustizia aveva annunciato l'intenzione di
risarcire le vittime delle
leggi penali anti-omosessuali, ma sembra che nessuno fosse a conoscenza delle
castrazioni. Ora, il gruppo di ricerca sul tema vuole approfondire l'indagine su tutti gli schedari giudiziari e carcerari della
Germania, mentre il
ministero della Giustizia del
Baden-Wurttemberg ha espresso la volontà di chiarire la vicenda sino in fondo. Le norme del
'Paragrafo 175' furono ulteriormente attenuate nel
1973 e, in seguito, completamente abrogate nel
1994 dopo la riunificazione tedesca. Ma intanto, circa
100 mila persone erano stati implicate in procedimenti legali per
omosessualità tra il
1945 e il
1969. E circa
50 mila risultano
condannati (se non suicidatisi prima, come molti hanno fatto). Una vicenda che fa ulteriormente capire come il
nazismo, per tanti aspetti, abbia proiettato le sue
'mostruose ombre' sulla
Germania ben oltre le tragiche fiamme della
Cancelleria del
1945. Impressionanti, in tal senso, anche le immagini dei
campi-dormitorio per
operai turchi e
italiani, sinistramente ricordanti i
lager, con le loro recinzioni in muratura avvolte dal filo spinato, girate nel
1974 dal regista italiano
Franco Barberi nel documentatio
'Turkiye', recentemente presentato a
Roma, presso
l'Archivio audivosivo del movimento operaio e democratico. In ogni caso, queste rivelazioni rientrano in quel più ampio processo di ritrovamento degli
'scheletri nell'armadio' che, negli ultimi anni, sta finalmente avvenendo in tante democrazie. Dall'emergere dei documenti sulle politiche di
sterilizzazione forzata degli individui, ritenuti
'asociali' o inadatti alla logica della produttività esasperata, condotte dagli stessi
Governi socialdemocratici svedesi dagli
anni '30, nel clima di generale ubriacatura per le
teorie razziali 'eugenetiche' tipico di quel periodo non solo in
Germania, all'indegna istituzione dei
'Collegi Magdalene' nell'Irlanda indipendente, emerse solo nei primi
anni '70 del secolo scorso.