"M'interessa capire, in questo libro, come esattamente l'autore ha vissuto il rapporto tra la campagna delle natìe Marche, questo mondo al tempo stesso così magico e così denso di vita lavorativa, altamente faticosa (quand'io ero giovane, la maggior parte dei contadini, purtroppo, non sfuggiva a fastidiosissime ernie del disco) e la realtà, a dir poco complessa, di una città come Roma, sia pure la Roma degli anni '50- '60". Così
Franco Ferrarotti, novant'anni compiuti da pochi mesi,
'decano' dei
sociologi italiani, ha aperto, alla
biblioteca di Storia moderna di
via Caetani, in
Roma, la presentazione di
'Deposito bagagli' di
Luigi Fenizi, alto funzionario del
Senato della Repubblica, storico e scrittore già collaboratore di varie testate di area riformista. Un libro edito da
Scienze e Lettere che non è solo un'autobiografia nettamente divisa in un
'prima' e in un
'dopo' (evento spartiacque: la grave malattia che nel
1991 lo ha colpito, limitandone fortemente le capacità deambulatorie e le facoltà di relazione con gli altri), ma una riflessione complessiva sui grandi temi dell'esistenza (il rapporto vita/morte; la ricerca di Dio; il lascito spirituale che trasmettiamo ai nostri cari e, più in generale, al mondo), secondo una
'chiave interpretativa' sempre profonda e, al comtempo, leggera e autoironica. L'opera è anche una cavalcata attraverso
70 anni di Storia italiana: da quell'aprile del
1944 che, poco dopo l'eccidio delle
Fosse Ardeatine, vide i genitori di
Fenizi fuggire da una
Roma occupata, al fine di riparare nelle
Marche, dove Luigi nacque di lì a poco, a
Falerone, provincia di
Ascoli Piceno. Settant'anni che l'autore rivede con la lente della nostalgia, ma anche con preciso senso critico. Emblematico, per esempio, il suo giudizio di riformista sul
'68 e dintorni', logica
'esplosione libertaria', ma anche pericolosa incubazione di
'rivoluzionarismo' fine a se stesso, sino a degenerare nel
terrorismo sanguinario del decennio successivo. Proprio della più illustre vittima degli
'anni di piombo', Aldo Moro, Fenizi è stato allievo a
'la Sapienza' di
Roma, presso la facoltà di
Scienze politiche. Nei primi
anni '70, da giovane funzionario presso la
commissione Bilancio del
Senato, ha modo di avvicinare figure come
Antonio Giolitti, Ugo La Malfa, l'anziano
Ferruccio Parri, il leggendario
'Maurizio' della
Resistenza. "Tra i suoi incontri", ha ricordato
Roberto Cipriani, docente emerito di
Sociologia della religione a
Roma 3, "ecco anche Herbert Marcuse, che nel luglio del 1968 parla in un teatro Eliseo gremito sino al'inverosimile; Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, conosciuti in quanto 'ombre pseudorivoluzionarie' di se stessi, ormai, in una settembrina serata del 1976 a piazza Navona; YasserArafat, armato sino ai denti, in una delle sue visite al Senato della Repubblica italiana. E poi Giulio Seniga, il 'cassiere' del Pci, protagonista, negli anni '50, della celebre fuga con fondi e documenti segreti del Partito, già uomo di Pietro Secchia e, in seguito, molto vicino all'ex-comunista Ignazio Silone". Secondo
Mauro Contili, segretario generale
dell'Università anglo-cattolica 'San Paolo apostolo', "quel che colpisce in quest'autobiografia è la capacità dell'autore di sopportare stoicamente, da laico, le sofferenze legate alla sua grave malattia: capacità senz'altro potenziata dalla vicinanza delle persone a lui più care, ma comunque non inferiore a quella di un vero credente". Per
Giuseppe Averardi, senatore emerito, già direttore della testata
'Ragionamenti di Storia' "c'è l'irrompere della Storia con la 'S' maiuscola. Come quando, giovanissimo, Luigi s'imbattè, nell'agosto del 1964, digiuno di politica, negli oceanici funerali di Palmiro Togliatti tra Santa Maria Maggiore e San Giovanni, riportandone un'impressione fortissima, determinante per il suo successivo interesse alla politica e alla Storia. O quando, negli anni '80 e '90, grazie alle testate di area riformista ha modo di conoscere vari esponenti del 'dissenso' dell'est europeo: cecoslovacchi come Jiri Pelikan, direttore della televisione ceca al tempo della 'Primavera di Praga', ma anche gli ungheresi reduci della tragica rivoluzione dell'autunno 1956". Una vita di studio, lavoro e, infine, di duro
'scontro' con la vita stessa, di fronte alla quale quest'uomo colto e coraggioso ha saputo non cedere, reagendo e lottando con quella
forza spirituale e
morale che molti di noi
laici troppo spesso dimostriamo di aver dimenticato.