Carla De LeoMaggior presenza istituzionale sul territorio africano, maggior coinvolgimento nelle iniziative di cooperazione allo sviluppo e investimenti mirati a creare lavoro: questi i tre 'assi' su cui l'Italia punta per il rafforzamento della partnership con l'Africa. A distanza di sei mesi dalla conferenza interministeriale 'Italia-Africa' dello scorso maggio, alla quale erano presenti le personalità istituzionali più importanti e rappresentative di entrambe le parti, un nuovo incontro si è tenuto la scorsa settimana presso la sede del ministero degli Esteri, a Roma. Il motivo: la nuova edizione dell'African Economic Outlook, il rapporto dell'Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza economica (Ocse), che analizza crescita, sviluppo e prospettive economiche dell'intero continente africano. Uno studio che ha generato un'occasione di confronto e di rilancio della partnership tra Italia e Africa. Cosa deve fare l'Africa per contrastare i suoi mali e cosa può fare l'Italia per sostenerla? Se l'Africa vuole crescere e garantire benessere alla sua popolazione deve, innanzitutto, sconfiggere i suoi 'cancri': lotta al terrorismo e all'estremismo religioso; contrasto alla criminalità organizzata (vendita illegale di armi e tratta di esseri umani in primis); gestione e controllo dei flussi migratori. Parallelamente, il grande continente ha bisogno di valorizzare le proprie risorse e attirare investimenti esteri, soprattutto nel settore delle energie rinnovabili, manifatturiero, agroalimentare e delle infrastrutture e dei trasporti, che sono quelli che potrebbero aprire maggiori prospettive di partnership e possibilità di generare lavoro, creando occupazione. Tutto ciò consentirebbe di far fronte al fenomeno dell'urbanizzazione 'selvaggia', che anche in Africa sta inducendo sempre più all'abbandono di massa delle zone rurali e al sovraffollamento delle città, strutturalmente non pronte e predisposte ad accogliere una tale mole di persone. E che, in ultimo, potrebbero fare da contrasto alla 'fuga' dei giovani, fenomeno che genera una 'perdita' di capitale umano (in cui ogni singolo Stato ha investito attraverso l'istruzione) e di 'cervelli' che costituiscono la linfa e il futuro di ogni Paese. L'Africa si sta molto impegnando in questo processo di trasformazione, come dimostrano le iniziative di molti Stati. Prendiamo, per esempio, la Guinea, dove il Governo, dal 2010, è alle prese con un vasto programma di riforme sulla sicurezza, nel contrasto alla criminalità organizzata e alle attività correlate, che ha portato all'incremento del flusso di scambio di informazioni e azioni congiunte, anche alle legge sul riciclaggio e a quella per contrastare il finanziamento del terrorismo. Sul versante dell'immigrazione clandestina e la 'tratta' di esseri umani, la Guinea ha inoltre introdotto maggiori misure di sicurezza sui documenti di viaggio ed è riuscita a smantellare diverse reti che si erano aperte un 'varco' verso l'Europa. Diversi anche i programmi inerenti la facilitazione degli investimenti stranieri. Insomma, i segnali dall'Africa non mancano e arrivano chiari. Ora tocca a noi offrire supporto e indirizzarlo per il verso giusto. E l'Italia? Cosa può fare per sostenerla? Innanzitutto, l'attenzione e l'impegno del nostro Paese, partner ormai storico dell'Africa, negli ultimi anni sono fortemente aumentati. Ciò in quanto, come ha osservato il Segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni: "Si tratta di una necessità ancor prima che un'opportunità: le sfide che ci accomunano - ambiente, terrorismo, gestione delle immigrazioni, sviluppo economico - sono infatti sempre più interconnesse e senza confini". Il dibattito nato intorno al rapporto ha evidenziato come l'Africa sia sempre più considerata di prioritaria importanza per la politica estera italiana. Ed ha anche ribadito il ruolo cruciale che il continente africano svolge negli equilibri geopolitici mondiali: non a caso, essa è l'interlocutore primario per la gestione del fenomeno migratorio e la composizione regionale dei conflitti, oltre a essere un fondamentale riferimento per la promozione della convivenza tra religioni. "L'Italia ha fatto una scelta molto chiara, esplicitando l'importanza strategica del nostro partenariato", ha proseguito la Belloni, "in primis, con una serie di importanti scambi di visite ufficiali. Poi, con una strategia di presenza istituzionale sempre più forte". Presenza che si concretizza con l'apertura di due nuove ambasciate a Niamey, in Niger e a Conakry, in Guinea, insieme all'apertura, a breve, di altre due sedi con lo scopo di rafforzare anche le relazioni economiche. E non solo: in un momento di ristrettezze di bilancio, il nostro Governo ha deciso di incrementare in maniera significativa e crescente i fondi destinati all'aiuto pubblico e allo sviluppo, parallelamente agli sforzi di coinvolgere sempre più, nelle iniziative di cooperazione, anche il settore privato e la società civile, con organizzazioni non governative e mondo accademico (gli investimenti italiani in Africa sono aumentati del 100% nel giro di pochi anni, dimostrandosi più variegati di quelli di altri Paesi e spesso accompagnati da progetti legati all'istruzione e alla formazione del personale locale, investendo cioè su capacity building e capitale umano). Lo scopo? Dare vita a una strategia di programmazione economica, grazie all'aumento degli investimenti e dell'occupazione. Il viceministro degli Affari Esteri, Mario Giro, ha fatto cenno anche ad altre iniziative: "Considerandoci un tramite tra Africa ed Europa, stiamo spingendo l'Unione europea a devolvere nuove risorse economiche verso il continente africano. Inoltre, è previsto in agenda un 'business forum' con il ministero dell'Economia camerunense e, sul fronte dell'immigrazione, proponiamo 'l'immigration compact': uno strumento finanziario che mira ad investimenti 'di impatto', sia sullo sviluppo africano, sia nel fornire assistenza nella gestione del controllo dell'immigrazione". L'Italia può giocare un ruolo rilevante nel farsi portavoce delle istanze dei partner africani, sia all'interno dell'Unione europea, sia al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e alla presidenza del G7. Ma, ancora una volta, dobbiamo augurarci che anche i 'piani alti' del 'palazzo' rispondano positivamente alle sollecitazioni.


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