Forse la
'cosa' potrà soprendere più di qualcuno, ma il
'No' del sindaco di Roma,
Virginia Raggi, alla candidatura della capitale d'Italia come sede organizzativa delle
Olimpiadi del
2024, è stato vissuto da molti cittadini romani come uno
'stop' a quell'intreccio tra affari e politica che ha generato una decennale tendenza alle
'sollecitazioni' e ai
'baratti', ai
'nepotismi' e alle
'regalìe'. Metodi che hanno alimentato
un'economia sostanzialmente sovvenzionata, in
'barba' alla tanto decantata
'libera iniziativa' sventolata ai
'quattro venti'. Roma, in particolare, ha sempre visto la fossilizzazione di un
'generone' di persone che hanno provveduto a confiscare il potere politico ed economico, utilizzando i problemi della metropoli più estesa d'Italia per finalità che non sempre con avevano a che vedere con la
'città dei 7 colli'. Una
'leva' di costruttori e
'palazzinari' che hanno storicamente trasformato intere schiere di consiglieri comunali in autentici
'fantocci merovingi', feudalizzando interi settori, come per esempio quello dello smaltimento dei rifiuti urbani, al fine di assoggettare la città a una serie infinita di conflitti tra dovere e interessi. Non esistendo più, oggi,
luoghi riconoscibili di potere legittimo, come si può stabilire se sia più opportuno stanziare fondi pubblici per organizzare una
grande manifestazione sportiva internazionale, oppure per mettere a posto le strade di una megalopoli completamente invasa dalle
buche, in ogni quartiere e periferia? La
sinistra 'storica' ha commesso un errore di valutazione gravissimo: la cosiddetta
'questione morale' non avrebbe dovuto riguardare solamente un particolare
'quoziente' di
disonestà e di
corruzione del nostro
ceto politico, ma doveva allargarsi anche nei confronti dell'avvenuta proliferazione di
un'economia 'mista' senza alcun riscontro negli altri Paesi dell'occidente capitalistico, che ha finito col sopprimere ogni auspicabile distinzione tra
etica pubblica e
utile privato. Eppure, l'Italia è anche il Paese di una solidissima
'piccola industria'; di imprese
'residuali' che approvvigionano un mercato
'atomizzato'; di aziende
'anticicliche' che assoldano mano d'opera nelle fasi di bassa congiuntura; di produzioni
'interstiziali' che soddisfano una domanda fortemente settoriale e specializzata. Insomma, il nostro sistema economico ha la sua vera
'spina dorsale' in
quell'imprenditoria 'periferica' che non è affatto marginale rispetto ai tradizionali
'circuiti di scambio'. È la cosiddetta
'terza Italia' quella che vuol trovare una strada per espandersi e rilanciare il nostro
'Made in Italy' sui mercati internazionali, poiché essa presenta i fattori più autentici di
un'integrazione socio-culturale che riducono la conflittualità, riproducendo una
'forza-lavoro' saldamente affidabile nei confronti di un sistema
intrinsecamente 'altro' rispetto ai tradizionali
rapporti di produzione. Insomma, i
capitalisti 'veri', che
rischiano i propri soldi, a
Roma e nel
resto d'Italia ci sono, eccome. Eppure, raramente vengono tutelati, incentivati, aiutati, anche se lo meriterebbero a pieno titolo. Non è certo la risposta dei grandi
'questuanti' di fondi pubblici, comunali, statali o europei che dir si voglia, a poter contrastare i
difetti di una
politica economica che impedisce ai
'piccoli' di entrare in
mercati già
'colonizzati' da altri. Sarebbe necessaria, invece, una
'nuova alleanza' tra imprenditori medi e piccoli, affinché
Roma possa resistere a quelle
pressioni che, da interi decenni, contrappongono le esigenze di riordino del
bilancio comunale ad aiuti e sovvenzioni verso una
'cricca' di
'parassiti' che hanno sempre
disdegnato ogni razionalizzazione favorevole all'ammodernamento di un sistema di
servizi pubblici dignitosamente efficienti. In ciò, l'intero ceto medio italiano dovrebbe smetterla di lasciarsi
'incantare' dalle
'sirene' della
demagogia imprenditoriale più
dirigista e
ipocrita. Compito di una
nuova Giunta capitolina, realmente intenzionata a
'bruciare i ponti' con un passato di
'mafiette', 'stipendifici' e
burocrazie inamovibili è invece quello di comporre un altro
'mosaico', provando a smantellare quelle
incrostazioni clientelari che creano solamente un'economia di
'relazione' a vantaggio di pochi. Un sistema che ha reso la capitale d'Italia un
'coacervo' di interessi oligarchici e parassitari, chiusi a ogni genere di espansione e di nuova cittadinanza economica in favore di imprenditorialità e di soggetti produttivi
moderni, innovativi, realmente competitivi.